Ha incantato milioni di ragazzi, intere generazioni di fan, ma anche ucciso i sogni di quei bambini che in lui vedevano un Dio. Su Michael Jackson, la biografia dell’artista afroamericano scritta dal premio Pulitzer Margo Jefferson, è stata finalmente pubblicata in Italia da 66thand2nd, casa editrice che presenta al pubblico italiano generi letterari in voga negli Stati Uniti ma da noi sottovalutati. Uscita negli Usa nel 2006, quando Jackson era ancora vivo, ma ormai alla deriva, analizza luci e ombre della vita dell’artista, adottando il punto di vista di una sua grande fan, che è al contempo anche una delle maggiori esponenti del mondo afroamericano impegnato. Per questo ne esce una scrupolosa indagine sociologica, psicologica e fenomenologica.
La pubblicazione in Italia arriva dopo l’enorme scandalo generato dalla messa in onda del documentario Leaving Neverland. Nel film Wade Robson e James Safechuck, all’epoca dei fatti ragazzini di meno di dieci anni e oggi padri di famiglia, raccontano gli abusi sessuali subiti per anni dalla star del pop. La vicenda giudiziaria ha sempre visto Jackson uscirne assolto, anche in virtù di milionari accordi extra giudiziali con le famiglie, ma l’opinione pubblica, da sempre divisa tra innocentisti e colpevolisti, negli ultimi anni ha iniziato a pendere più verso la condanna.
Il resoconto della Jefferson delineava già nel 2006 un quadro psicologico allarmante: Jackson, vittima di abusi da bambino, da adulto era diventato un predatore; sfruttando la propria fama di star e costruendosi l’immagine di paladino dell’infanzia adescava le sue vittime in quel regno di giochi e fantasia che fu la sua villa di Neverland. Inutile domandarsi oggi che razza di famiglie acconsentissero a far entrare i propri figli nella casa, e spesso nel letto, di Jackson. Il re del pop sapeva ammaliare tutti, genitori e figli, offrendo tra l’altro vacanze alle Hawaii e uno stile di vita inarrivabile.
E così nelle pagine conclusive del proprio libro la Jefferson si domandava : “Cosa vediamo [quando guardiamo a Michael Jackson]? “Un uomo che vuole essere androgino e al di là della razza? Un artista geniale che ci ha regalato acuta eccitazione e piacere? Una celebrità ostinata che vuole tutto a modo suo, ma insiste sul fatto che tutti lo amino incondizionatamente? Un uomo spinto a perdere la sua identità, mentre nega ciò che lo addolora? Il nostro uomo allo specchio? O una creatura che non desideriamo più riconoscere?”. Ma oggi, alla luce di quanto emerso dal documentario dell’emittente televisiva statunitense HBO, si chiede se non fosse suo dovere andare ancora più a fondo. In fin dei conti anche lei, come molti all’epoca, accettò il verdetto giudiziario che assolveva Jackson. E così per l’edizione italiana ha scritto una nuova introduzione.
Oggi che la società americana, sempre in bilico sul filo dell’ipocrisia, si dibatte tra il #MeToo e il movimento Time’s Up, in molti sono pronti a rigettare tutto ciò che Michael Jackson ha prodotto negli anni, a partire dalla sua musica. Molte emittenti radiofoniche hanno scelto di non trasmetterla più. Ma su questo la Jefferson non transige, se si ama Jackson, bisogna prendere tutto, anche i suoi lati oscuri. E conclude: nella storia dell’arte umana la separazione tra vita e arte è necessaria o dovremmo rinunciare tra tanti anche a Caravaggio, Verlaine, Serge Gainsbourg e Chuck Berry.
Elisa Rocca
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