Stanotte la Croazia ha chiuso il confine con la Serbia.“Siamo saturi”, ha spiegato il ministro dell’Interno Ranko Ostojić, che ieri ha fatto marcia indietro sulla decisione del premier Zoran Milanović di lasciar passare indisturbati tutti i migranti diretti in Europa settentrionale.
Nei due giorni di apertura dei confini, coincisi con la chiusura totale di quelli dell’Ungheria, nei quali di fatto si è spostata in Croazia la direttrice principale della rotta balcanica dei profughi, hanno passato il confine più di 14 mila migranti. Alcuni sono riusciti ad attraversare la frontiera anche dopo la chiusura ufficiale, passando per campi e boschi non sorvegliati.
I meccanismi d’accoglienza croati non si sono rivelati all’altezza di un afflusso del genere: ieri alla stazione di Tovarnik – il valico più trafficato, attraversato da più di ottomila persone – un gruppo di migranti è riuscito a sfondare il cordone di polizia dopo aver atteso per ore che partisse un treno per Zagabria.
Oggi il primo ministro è tornato sulla questione per chiarire la posizione ufficiale dell’esecutivo: “Il confine non può essere sigillato e tutta questa gente non si può trattenere”, ha dichiarato Milanović, ma il Paese è al limite delle sue capacità di accoglienza e non è in grado di trasformarsi in un hotspot internazionale.
Sette degli otto valichi presenti sul confine con la Serbia sono rimasti sbarrati per tutta la notte; l’unico aperto era quello che mette in comunicazione Batina con il paese serbo di Bezdan, che è stato chiuso stamattina. Proprio da qui, a una decina di chilometri dai confini ungheresi, è passata la maggioranza dei migranti che nei giorni scorsi erano rimasti accampati ai confini tra Serbia e Ungheria. Alla chiusura del posto di frontiera, circa cento profughi non sono riusciti a passare e sono stati accompagnati in pullman nel centro d’accoglienza serbo più vicino.
Intanto il governo ungherese ha annunciato l’inizio dei lavori per costruire una barriera di filo spinato lungo un tratto del confine con la Croazia. “Dobbiamo fare la stessa cosa fatta alla frontiera con la Serbia”, ha annunciato alla radio il primo ministro Viktor Orbán.
Il nuovo muro correrà per poco più di quaranta chilometri, lungo l’unico tratto del confine fra i due Stati – entrambi membri della UE – che non ricalca il tracciato di un fiume.
Alla costruzione stanno già lavorando 600 militari; altri 500 si aggiungeranno entro oggi e altri 700 nel fine settimana. Coinvolte nei lavori anche alcune centinaia di poliziotti.
La decisione di Orbán va esattamente nella direzione opposta a quella auspicata dalle organizzazioni internazionali. “I muri non hanno mai risolto nulla”, aveva detto ieri la presidente della Camera dei deputati italiana, Laura Boldrini durante un incontro a Montecitorio con la sua omologa serba, Maja Gojković. La Boldrini, che dal 1998 al 2012 è stata portavoce dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), ha affermato che le decisioni ungheresi mettono in difficoltà “tutti coloro che nell’Unione europea considerano valore fondamentale il rispetto dei diritti umani”.
Intanto ai confini dell’Europa si continua a morire. Oggi un barcone carico di profughi siriani diretti in Grecia è naufragato al largo di Çeşme, nella provincia turca di Smirne, in un tratto di mare largo meno di dieci chilometri. I superstiti sono 14, fra cui 8 minori. Fra le vittime anche una bambina di quattro anni. La circostanza ha ricordato la morte del piccolo Alan Kurdi, annegato circa due settimane fa al largo di Bodrum, la cui fotografia ha fatto il giro del mondo.
Un altro migrante è morto ieri sera nell’Eurotunnel. Aveva circa vent’anni; non è ancora stato identificato, ma probabilmente era siriano anche lui. È rimasto folgorato mentre cercava di salire su un vagone attrezzato per il trasporto di tir. Dallo scorso 26 giugno è il decimo a morire nel tentativo di raggiungere la Gran Bretagna.
F.M.R.
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