La Commissione UE sta preparando un pacchetto di “misure concrete” per affrontare la questione dei migranti. Ad annunciarlo è stato un portavoce dello stesso esecutivo comunitario.
In concreto, le misure saranno messe ai voti nella riunione di domani mattina del collegio dei Commissari. In tempo, dunque, per essere approvate prima del vertice dei ministri dell’Interno, in programma giovedì a Tallinn, la capitale dell’Estonia.
C’è da aspettarsi che il documento sia la sintesi dell’accordo trovato nel prevertice informale che si è tenuto ieri a Parigi fra il ministro dell’Interno italiano, Marco Minniti, i suoi colleghi di Francia e Germania, Gérard Colomb e Thomas de Maizière, e il Commissario UE competente in fatto di migrazioni, Dimitris Avramopoulos.
Parigi e Berlino hanno giurato di aver trovato una “piena intesa” sulle misure proposte da Roma. Giovedì Minniti presenterà i punti concordati al summit di Tallinn.
“L’iniziativa italiana ha prodotto dei primi risultati”, ha commentato stamattina il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, “e mi auguro che generino effetti concreti”.
Quel che ha chiesto l’Italia a Parigi, continua il premier, è una “condivisione UE” necessaria “per evitare che i flussi diventino insostenibili alimentando reazioni ostili nel nostro tessuto sociale”. Quel che ha ottenuto, oltre alle solite espressioni di “forte solidarietà”, è la promessa, da parte di Francia e Germania, di “accrescere i loro sforzi in tema di relocation”, cioè di ricollocamento dei migranti che sbarcano nei porti italiani.
Giovedì a Tallinn si discuterà del finanziamento al Fondo fiduciario d’emergenza aperto dalla UE per promuovere la stabilità e combattere le cause profonde delle migrazioni, che per ora ha ricevuto contributi dai 28 Stati UE per poco meno di 90 milioni di euro.
Si parlerà anche di far sbarcare le navi attive nelle missioni di soccorso anche in altri porti e del comportamento delle ONG nel Mediterraneo centrale, nodi già affrontati nel prevertice di Parigi, certo non senza code polemiche.
L’Italia ha chiesto di alleggerire la pressione sui suoi porti facendo sbarcare alcune navi a Marsiglia o a Barcellona. Ma il vicesindaco della città francese – amministrata dal centrodestra – ha risposto oggi di non avere “i mezzi” per accogliere “centinaia se non migliaia di migranti”. E anche dalla Spagna si cerca di prendere tempo: “Qualunque soluzione al problema dev’essere europea, e non bilaterale”, fanno sapere le autorità cittadine – loro invece vicine a Podemos, il movimento populista di sinistra – alla stampa locale.
È stato criticato anche il progetto di disciplinare l’azione delle ONG attive nella ricerca e nel salvataggio dei naufraghi. Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas, parla apertamente di “delegittimazione”:
Temiamo non si vogliano avere soggetti indipendenti in mare per verificare l’operato della guardia costiera libica, al momento sotto osservazione della Corte di giustizia europea per questioni legate a crimini contro l’umanità.
Forti definisce “inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani” anche il piano di esternalizzare la frontiera della UE in Libia. Oltre a introdurre il codice di comportamento per le ONG, il piano prevede anche di aumentare i fondi versati al governo di Tripoli per il controllo delle frontiere e il pattugliamento della costa. E la Libia ha prontamente fatto capire dove intende schierarsi: il portavoce Ayyoub Qasem, intervistato dall’agenzia AdnKronos, ha accusato le organizzazioni non governative di “aperte violazioni alla sovranità marittima libica”, di aver rivolto accuse false alla Guardia costiera locale e di incoraggiare l’immigrazione illegale.
Forti invece ha lodato l’intenzione di rivedere il sistema europeo di relocation per renderlo più efficace. Finora, l’ostacolo maggiore è stata la soglia di accesso al 75%. Al programma di ridistribuzione, cioè, accedevano solo i cittadini di quegli Stati le cui domande di asilo venivano accolte almeno nel 75% dei casi, una soglia che molti giudicano troppo alta e ingiustificata.
F.M.R.a
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