“Disillusione, rassegnazione,speranza”. Sono le tre parole chiave scelte da papa Francesco per qualificare l’atteggiamento degli discepoli di Emmaus davanti alla scomparsa di Gesù. “Questi due discepoli portano nel cuore la sofferenza e il disorientamento per la morte di Gesù sono delusi per come sono andate a finire le cose. Un sentimento analogo – sottolinea il Santo Padre – lo ritroviamo anche nella nostra situazione attuale: la delusione, la disillusione, a causa di una crisi economico-finanziaria”. Di fronte a questa realtà, si interroga il Pontefice, quali sono le reazioni? “Di fronte alla crisi – osserva – ci può essere la rassegnazione, il pessimismo verso ogni possibilità di efficace intervento”. Ma dobbiamo fugare ammonisce Bergoglio la disperazione, la tentazione di “pensare in chiave apocalittica”: “questa concezione pessimistica della libertà umana e dei processi storici porta ad una sorta di paralisi dell’ intelligenza e della volontà”. Proprio questo accade alla protagonista del libro “Morire di non lavoro”: Soledad, una spagnola di cinquant’anni disoccupata di lungo corso. “Quando si perde il lavoro si attraversa una prima fase in cui prevale il senso di fallimento, la perdita di status e d’identità: una disperazione sorda che ti porta vicino all’ idea del suicidio; poi c’è una seconda fase in cui si riprende a combattere e si prova a recuperare fiducia nel futuro; infine, una terza fase in cui la vicenda economica prende il sopravvento e ci si rende conto che da lì a breve non si sarà più in grado di far fronte al pagamento delle spese fisse domestiche. Ecco, questa terza fase è quella della paura”. Nelle parole di Soledad c’è la descrizione precisa di come la crisi economica colpisca la vita concreta delle persone. Il suicidio è la manifestazione estrema eppure allarmante di tutto questo: per i piccoli imprenditori impossibilitati a condurre la propria azienda, per le lavoratrici e i lavoratori licenziati, per i disoccupati che non possono più pagare la loro casa. Della percezione soggettiva della crisi occupazionale nel nostro Paese, e in Spagna, ci parla ‘ Morire di non lavoro’, un libro di Elena Marisol Brandolini, giornalista, laureata in economia (Ediesse ed., pagg. 152, 10 euro), pubblicato da pochi giorni. Gli effetti delle condizioni sociali sulla salute mentale sono molteplici, dice l’ autrice. Alcune ricerche indicano come, all’ aumento di un punto percentuale del tasso di disoccupazione, corrisponda un aumento dello 0,8% nel tasso dei suicidi. E le politiche pubbliche di sostegno? “Totalmente insufficienti e inadeguate”, dice Brandolini. Brandolini ci racconta di chi la crisi la vive, tutti i giorni, sulla propria pelle. Lo fa confrontando la situazione dell’ Italia e quella di Spagna e Catalogna per capire da vicino quali siano le conseguenze reali della crisi e delle politiche di rigore sul benessere psico-fisico delle persone. “Volevo scrivere un libro sugli ultimi, su quelli che sono diventati gli ultimi con questa crisi -dice l’autrice- e non ce la fanno più; oppure vanno avanti, inventandosi strategie di sopravvivenza. Volevo osservare, raccontare, non dare risposte, parlare di condizioni concrete, di donne e uomini concreti, provare a individuare alcune suggestioni. Volevo fare una denuncia delle classi dirigenti e di questa politica che non si occupa delle persone. Lo so, è qualcosa che mi riguarda, molto. E’ stata la mia personale strategia per resistere, fino a qui”. L’ indagine sulla percezione soggettiva della crisi, proposta attraverso la tecnica del focus group, è applicata alle situazioni italiana e spagnola/catalana, permettendone una lettura comparata, da cui emergono similitudini, peculiarità e differenze di comportamento rispetto a politiche che producono sofferenza e umiliazione nelle popolazioni, incontrando rabbia nelle piazze e disperazione nell’isolamento. Fino al suicidio, come risposta individuale che si fa collettiva e riempie di sé la cronaca degli ultimi anni. Mentre si strutturano strategie singole e di gruppo messe in atto dalle persone per resistere.
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