Ha considerato le paure più comuni a tutti, quelle che ognuno si porta dietro dall’infanzia, e gli ha dato consistenza, realtà e finanche una certa forma di ragionevolezza. Così Wes Craven non ha semplicemente spaventato il suo pubblico, ma lo ha letteralmente terrorizzato nel profondo della mente. All’età di 76 anni proprio l’incubo di un cancro alla testa, contro cui combatteva da anni una battaglia tutta reale, lo ha portato alla morte nella giornata di ieri.
Maestro dell’orrore, regista e attore dalla vita non facile e non del tutto felice, ha creato personaggi e storie che hanno popolato le più spaventose fantasie di intere generazioni, come il famoso e agghiacciante personaggio di Freddy Krueger. Dal primo successo, “L’ultima casa a sinistra” del 1972, alla recente saga di “Scream”, passando per l’intramontabile “Nightmare”, Wes Craven non ha semplicemente creato storie dell’orrore, ma ha letteralmente sconvolto il modo di atterrire il pubblico. “Prima la violenza cinematografica era gentile e pulita;” spiegava il regista “io l’ho resa dolorosa, prolungata, scioccante e molto umana. E sono io che ho reso umani gli assassini”.
Ed è proprio questa profonda conoscenza dell’animo umano che ha fatto la differenza tra i suoi film e quelli dell’orrore più comuni. Senza cedere mai alla facile tentazione dello splatter e forte di una formazione ampia in ambito umanistico -aveva studiato letteratura, psicologia e filosofia-, Craven ha dato vita a situazioni che coinvolgono lo spettatore in una realtà del tutto credibile e per questo ancora più spaventosa. Divenne così abile nel padroneggiare la materia oscura di cui sono fatti gli incubi che poté persino permettersi il lusso di ironizzare sul genere. Nacquero così le varie edizioni di “Scream” in cui tutto il terrore e la frustrazione del silenzioso “Urlo” di Munch prendeva vita attraverso la famosa e spaventosa maschera bianca dell’assassino Ghostface.
Per quanto il genere possa non risultare a tutti gradito, l’abilità di Craven nel creare e rappresentare storie resta indubbia ed è confermata dalla sua capacità di spaziare nei generi, traendo ispirazione da fonti diverse. Nel 1999 decise di dedicarsi anche al genere drammatico con un film, “La musica nel cuore”, che ricevette significativi riconoscimenti grazie all’interpretazione di Meryl Streep.
Vania Amitrano
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