Il presidente USA Donald Trump ha rimosso dal suo incarico Sally Yates, ministra della Giustizia ad interim, per non aver difeso il suo provvedimento che vieta l’ingresso nel paese ai cittadini di 7 Stati, il controverso Muslim ban.
Appena dieci giorni fa, Trump aveva annunciato di aver scelto la Yates per reggere la carica in attesa dell’approvazione del suo candidato, Jeff Sessions, da parte del Senato di Washington. Era sembrato un tributo alla sua professionalità, anche se a nominarla vice-Procuratore generale (così si chiama, nell’amministrazione USA, il capo del dipartimento di Giustizia federale) era stato Barack Obama, nel 2015.
Il “Muslim ban” ha cambiato tutto. Ieri la Yates aveva sfidato il potere del presidente scrivendo, in un comunicato diretto ai 113 mila dipendenti del dipartimento:
Fino a quando eserciterò le funzioni di Procuratore generale, il Dipartimento di Giustizia non presenterà contenziosi in difesa dell’ordine esecutivo a meno che non mi convinca che è appropriato farlo.
Secondo il comunicato della Casa Bianca, la Yates avrebbe “tradito il dipartimento di Giustizia rifiutandosi di applicare un ordine esecutivo concepito per difendere i cittadini degli USA”. La Yates “è debole in materia di frontiere”, prosegue il documento, e “molto debole in materia di immigrazione illegale”. Giudizio condiviso da buona parte dello staff di Trump e soprattutto dal suo successore designato Sessions, da sempre molto critico nei suoi confronti.
Di parere opposto è il partito democratico, com’era prevedibile: Chuck Schumer, leader dell’opposizione in Senato, ha definito il suo comportamento “coraggioso e giusto”, mentre il decano della Camera, John Conyers, ha paragonato il suo licenziamento alle eliminazioni in The Apprentice, il reality show nel quale Trump interpretava il capo spietato. E hanno preso le sue difese tutti gli oppositori di Trump, dagli organizzatori della Marcia delle donne di Washington (“una vera eroina americana”) a testate come il Financial Times (“un eroe della legalità”).
Sally Yates ha 56 anni, è originaria della Georgia e ha passato tutta la carriera professionale nel dipartimento di Giustizia: ha fatto parte del team della pubblica accusa contro Eric Rudolph, il terrorista che nel 1996 piazzò una bomba al Centennial Olympic Park durante i giochi di Atlanta. Da vice-Procuratore generale è stata una delle menti del “programma di grazia” che ha alleggerito la pena a centinaia di detenuti in cella per spaccio di stupefacenti (ma nessun crimine violento all’attivo) ed è prima firmataria dello Yates memo, un documento che impegnava l’amministrazione federale a perseguire i singoli membri dei CdA delle grandi aziende per le azioni illegali commesse. È stata lei, inoltre, ad annunciare la multa miliardaria inflitta a Volkswagen per il Dieselgate, lo scandalo delle emissioni inquinanti truccate.
Al suo posto, sempre in attesa che il Senato confermi la nomina di Sessions, si insedierà Dana Boente, finora procuratore del distretto orientale dello Stato della Virginia. Boente ha già fatto sapere che farà applicare al dipartimento di Giustizia il provvedimento voluto dal presidente Trump.
F.M.R.
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