Dopo il toccante incontro tra i profughi e papa Francesco, il Myanmar annuncia un piano per rimpatri «volontari, sicuri e dignitosi» dei Rohingya, i musulmani senza passaporto obbligati a rifugiarsi in Bangladesh. Contemporaneamente al piano del governo birmano per i rimpatri protetti, in accordo con le autorità del Bangladesh, il Consiglio Onu per i diritti umani (Unhrc) chiede l’avvio di un’inchiesta internazionale sugli abusi e i crimini contro gli stessi che potrebbero prefigurare un genocidio. Ci sono possibili “elementi di genocidio” nei confronti dei Rohingya, ha denunciato oggi il numero uno del Consiglio per i diritti umani dell’Onu Zeid Ràad al Hussein, parlando a Ginevra a un forum convocato d’urgenza con i 47 Stati membri. Hussein ha enunciato una lista di abusi subiti dai Rohingya, comprese le accuse di «uccisioni a caso con raffiche di fucile, granate, spari a breve distanza, accoltellamenti, pestaggi a morte e l’incendio di case con le famiglie all’interno». E ha chiesto al Consiglio: «Dato tutto questo, può qualcuno escludere che elementi di genocidio possano essere presenti?».
Zeid ha denunciato che i Rohingya continuano a fuggire dallo stato birmano del Rakhine a causa delle «attacchi brutali, diffusi, sistematici e scioccanti» da parte delle forze dell’ordine birmane. Le incriminazioni per le violenze e gli stupri a danno dei Rohingya commessi dalle forze di sicurezza o dai civili «appaiono estremamente rare». Ha inoltre deplorato che l’accesso allo stato di Rakhine non sia stato concesso agli ispettori dell’Onu.
Il responsabile dell’agenzia Onu ha infine messo in guardia dai rischi di un rimpatrio forzato: nessun Rohingya, afferma, andrebbe rimpatriato dal Bangladesh al Myanmar in mancanza di un attento «monitoraggio sul terreno del rispetto dei diritti umani».
Negli ultimi mesi sono stati ben 620mila i musulmani Rohingya fuggiti dalla repressione messa in atto dall’esercito birmano, dopo che ad agosto alcuni militanti di quest’etnia minoritaria avevano attaccato postazioni delle forze di Myanmar.
Il Myanmar si è dichiarato pronto a collaborare con tutti gli interlocutori al fine di assicurare”«un rimpatrio volontario, sicuro, dignitoso e sostenibile” e una ricollocazione degli sfollati. “Non ci saranno campi profughi” ha chiarito, mentre le operazioni di rientro dei Rohingya nella propria terra dovrebbero concludersi entro un paio di mesi.
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