Sono oltre quattromila le vittime finora accertate del disastroso terremoto che ha colpito il Nepal domenica 25 aprile. I dispersi sono però diverse migliaia, per cui si teme che il bilancio reale possa arrivare a diecimila morti.
Fra le vittime ci sono quattro italiani. Si tratta di Renzo Benedetti e Marco Pojer, due componenti di una spedizione di trekking nella valle di Rolwaling, Gigliola Mancinelli e Oskar Piazza, due speleologi impegnati in una spedizione nella valle di Langtang.
I corpi di Benedetti e Pojer sono stati identificati e recuperati. Salvi i loro due compagni di spedizione, Iolanda Mattevi e Attilio D’Antoni, entrambi ricoverati nella capitale Kathmandu.
Sono stati tratti in salvo anche altri due speleologi che si trovavano nel Langtang, Giuseppe Antonini e Giovanni Pizzorni, mentre sembra più difficile procedere al recupero delle salme dei loro compagni: il Langtang “è un luogo meraviglioso ma anche molto selvaggio”, ha affermato Josè Scanu, tecnico del soccorso alpino di Genova ed amico di Pizzorni.
Fiorella Fracassetti e Giovanni Cipolla, gli altri due italiani dati per dispersi in un primo momento, sono riusciti invece a mettersi in contatto con i loro cari quando sono state ripristinate le prime linee telefoniche: si trovano a Kathmandu, stanno bene e dovrebbero tornare in Italia domani.
Intanto, mentre in tutto il paese continuano le operazioni di soccorso, arrivano le prime stime del numero complessivo delle vittime. Secondo la Caritas, i morti, “considerando i distretti colpiti, potrebbero toccare seimila persone. Si calcola vi siano già 5.000 feriti e migliaia sono sfollati e senzatetto”. Il premier nepalese Sushil Koirala, invece, ha dichiarato di temere che il conto delle vittime possa arrivare a diecimila.
Le regioni devastate dal terremoto sono proprio quelle, tra Kathmandu e l’Everest, in cui si concentra il maggior numero di turisti e di alpinisti, il che complica non poco il lavoro ai soccorritori.
Si stima che solo sull’Everest siano bloccate almeno duecento persone: “Più di 120 sono intrappolati al campo 2 – ha detto Iswari Paudel, direttore dell’associazione Himalayan Guides Treks – mentre un’ottantina di scalatori specializzati nelle ricerche in alta quota sono impegnati nei soccorsi”.
Nella zona più pericolosa dell’Everest, quella compresa fra il campo base e il campo 1, diversi scalatori – non è ancora chiaro quanti – sono caduti nei crepacci aperti nel ghiaccio dalle scosse.
A Kathmandu e negli altri centri colpiti si contano decine di migliaia di sfollati che hanno passato la seconda notte all’addiaccio.
Le autorità nepalesi non riescono ancora ad assicurare la distribuzione di acqua, cibo e generi di prima necessità. Molti si sono attrezzati con mezzi di fortuna, portando da casa tende, materassi e il necessario per cucinare. Si teme che l’interruzione di tutti i servizi igienici e della raccolta della spazzatura faciliti la diffusione di malattie.
Mentre la corrente elettrica manca ancora in quasi tutta la capitale, stamattina sono stati ripristinati i primi servizi, tra cui internet.
Ha ripreso a funzionare anche l’aeroporto, preso d’assalto dai turisti. Le autorità di Nuova Delhi hanno organizzato voli speciali per assicurare il rientro dei molti cittadini indiani rimasti bloccati in Nepal.
Complice la mattinata relativamente tranquilla – l’ultima scossa di magnitudo 4,2 sulla scala Richter, con epicentro 42 km a ovest di Kathmandu, si è registrata alle 6.24 di stamane – molti nepalesi hanno provato a tornare al lavoro. Nel quartiere commerciale e turistico di Durbar Marg, nel centro della capitale, hanno riaperto i primi negozi e le prime trattorie e per le strade si sono visti i primi taxi e risciò.
In giornata, tuttavia si è registrata almeno un’altra scossa di magnitudo 5,1 nello stesso epicentro di quella, disastrosa, di domenica. Un altro terremoto di intensità simile si è verificato al confine tra l’India e il Bangladesh, in un altro punto dell’arco himalayano, poco dopo le 18 locali.
I sismologi ammoniscono: è ancora troppo presto per considerare finito il terremoto. Pur tenendo presente l’imprevedibilità di tutti i fenomeni sismici, “altre repliche sono attese, anche nei prossimi giorni”, avverte Alessandro Amato, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
Sul fronte dei soccorsi, per scongiurare l’emergenza sanitaria serviranno al più presto cinque milioni di dollari: lo ha annunciato l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) precisando che serviranno “ulteriori team medici stranieri che possano essere autosufficienti nelle loro operazioni”.
La CEI ha stanziato tre milioni di Euro dai fondi dell’otto per mille, coordinati dal Nunzio Apostolico per l’India e il Nepal monsignor Salvatore Pennacchio.
Molto attiva in questo senso anche la Cina, anch’essa colpita dal terremoto. Le scosse hanno fatto almeno 21 vittime e 24 mila sfollati nei confini della Regione Autonoma del Tibet, sul versante nord dell’Himalaya.
Pechino ha inviato a Kathmandu una missione di 58 medici con 13 tonnellate di materiale sanitario.
“Faremo di tutto per aiutare il popolo nepalese”, ha dichiarato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Wang ha affermato che il Nepal è un paese “tra i meno sviluppati”, che ha “bisogno della comunità internazionale”.
Il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni ha annunciato di aver stanziato “centinaia di migliaia di Euro” e di aver inviato a Kathmandu una squadra dell’Unità di crisi della Farnesina.
Quando sarà passata l’emergenza umanitaria, poi, l’Italia valuterà “se ci sono le condizioni per operazioni di recupero dei beni culturali”.
Filippo M. Ragusa
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