L’avevamo già evidenziato dopo i primi mesi di lockdown, ma oggi i dati Istat ce lo confermano: durante quest’anno di pandemia, a fronte di una diminuzione di molti reati comuni, sono aumentate sensibilmente le denunce di violenza da parte delle donne. E due terzi degli italiani, la maggioranza donne, ora hanno più paura di subire crimini.
Secondo il rapporto Istat basato sui dati dei centri antiviolenza, le chiamate al 1522 – il numero di pubblica utilità istituito dal 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità con l’obiettivo di far emergere e dare voce alle donne che subivano violenza – sono aumentate del 65% passando dalle 7.744 del 2019 alle ben 12.767 del 2020. Anche le segnalazioni via chat, per quanto i numeri siano largamente inferiori hanno subito un incremento altissimo passando da 683 a ben 2.361.
In generale dunque l’incremento delle richieste d’aiuto è stato del 79,5% passando dalle 8.427 del 2019 alle 15.128 del 2020 ed è avvenuto principalmente in coincidenza dei mesi da fine marzo a maggio e poi negli ultimi mesi dell’anno, quando cioè le norme di limitazione degli spostamenti, causa pandemia, erano più serrate.
Come spesso accade la giornata del 25 novembre, dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, ha raggiunto il picco di segnalazioni, circa 150, probabilmente elicitate dalle campagne informative che attorno a quella data si intensificano. I testimonial che in quei giorni parlano pubblicamente della violenza contro le donne hanno un effetto di incoraggiamento soprattutto per quelle donne che la subiscono da lungo tempo, invogliandole ad uscire dall’isolamento e a cercare un aiuto esperto. Oltre la metà delle donne che usufruiscono dei servizi (circa il 58% nel 2020) dichiara infatti di essere vittima di violenza da mesi, se non addirittura da anni.
Gli orari in cui si intensificano le richieste d’aiuto (dalle 9 alle 17) e i giorni della settimana in cui queste avvengono – principalmente dal lunedì al giovedì fino a decrescere sensibilmente nel fine settimana – confermano che è la casa il luogo dove principalmente avvengono i maltrattamenti e che le vittime cercano l’aiuto esterno in quei momenti in cui viene meno il controllo o la presenza dei familiari; ed è infatti il 75% a denunciare la violenza domestica, principalmente di tipo fisico, cui seguono, in ordine di rilevanza, la violenza psicologica, quella economica e le minacce.
Non c’è un identikit univoco della vittima: le violenze colpiscono trasversalmente sia le donne coniugate (5908, pari al 39%) che quelle celibi (5318 – 35%), così come le donne occupate (4752 – 31,4%) e quelle disoccupate o in cerca di lavoro (3097 – 20,4%). Anche le fasce di età sono tutte ugualmente coinvolte e sebbene sia il gruppo di donne che hanno tra i 35 e i 54 anni (in totale circa 5100) quello che denuncia maggiormente, il 2020 ha avuto il triste primato di vedere un incremento tra le giovanissime con meno di 24 anni passate in due anni dall’essere l’8,1% del totale all’impressionante 11,8% (circa 1300) dello scorso anno.
Non cambia il profilo della persona che tendenzialmente perpetua le violenze: si tratta infatti, nella maggioranza dei casi, del partner (57,1%) o dell’ex-partner (15,13%), anche se si è notata una leggera, ma significativa crescita, delle violenze subite ad opera di altri membri della famiglia: genitori, figli, fratelli, ecc. che raggiungono il 18,5% (+6% rispetto al 2019) delle aggressioni denunciate ai servizi di assistenza.
Altri dati interessanti emergono dal secondo rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia commissionato al Censis da Federsicurezza, la federazione del settore della vigilanza e sicurezza privata nata 16 anni fa in seno a Confcommercio.
Secondo questa indagine le donne, per paura di diventare vittime di reato, modificano pesantemente i propri comportamenti condizionando la propria qualità di vita, sono infatti il 75,8% delle intervistate a d aver paura di camminare per strada e di prendere mezzi pubblici la sera, l’88,5% teme di incontrare una persona conosciuta sui social e, a seguito della pandemia, ben l’83% teme di frequentare luoghi affollati.
Non sono solo le donne a temere per la propria incolumità, è sempre più evidente infatti come a seguito della pandemia “si stia affermando una paura dell’altro, anche tra i più giovani, che non è più indirizzata esclusivamente verso le categorie più marginali, ma che tende ad essere rivolta verso l’intera società”. Nonostante la forte decrescita della criminalità (-18% di reati denunciati nel 2020 rispetto all’anno precedente) negli ultimi dodici mesi per due terzi degli italiani, il 66,6% del totale, la paura di rimanere vittima di reato è rimasta la stessa, per il 28,6% è addirittura aumentata e solo per il 4,8% si è ridotta.
L’analisi per genere rivela che è nuovamente tra le donne che la paura cresce in maniera più sensibile: nell’ultimo anno per il 67,9% è rimasta uguale, per il 29,2% è aumentata mentre solo per il 2,9% è diminuita.
Dato confermato dall’impressionante cifra di 5 milioni di donne (circa il 18% della popolazione femminile), su un totale di 6 milioni di italiani, che dichiarano di ver paura di tutto. Denominate dalla scienza “panofobiche” queste persone vivono, in casa o fuori, in uno stato di ansia e di paura che non riescono a frenare. E allarma sapere come stiano aumentando i casi tra i giovani under 35 che raggiungono quota 1 milione e 700.000, pari al 16,3% del totale.
Il ritratto dell’Italia post pandemia che esce da questi rapporti è preoccupante: giovani sempre più fragili a impauriti e donne sempre più vittime di violenza, quando non fisica e consumata dentro le mura domestiche, sicuramente psicologica in una società che ancora fatica a farle sentire protette.
Elisa Rocca
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