Premetto che commentare le nomine ai vertici della Rai non mi diverte affatto. Si tratta di uno spettacolo sgradevole visto già troppe volte, irrispettoso per chi lo guarda e soprattutto per chi, professionalmente parlando, lo subisce. Tra l’altro si tratta di uno spettacolo che cade in uno dei momenti più drammatici della storia del giornalismo italiano come ben testimonia il documento che da due settimane facciamo circolare per farlo sottoscrivere.
Chiedo un piccolo aiuto al collega Dario Di Vico che nell’editoriale di oggi del Corriere della Sera così definisce questo sublime ed indecente atto di partitocrazia liberticida in materia di informazione. Dico io: volevano una copia conforme ed intelligente della Bbc… Risponde lui: “Si tratta di un consiglio di amministrazione di serie B. Francamente non ci pare che il nuovo cda sia dotato di quei profili professionali e di quelle competenze che dovrebbero servire alla Rai…. Se si fa eccezione per Freccero, mancano figure con esperienze gestionali significative o che comunque ne sappiamo di televisione”. Difficile non condividere.
Tutto questo poi, al netto dell’operazione politica di basso profilo del presidente del consiglio Renzi che si è accontentato di “sistemare” un suo fedelissimo, Antonio Campo Dall’Orto, nel ruolo, micidiale, di superdirettore generale con pieni poteri nell’informazione pubblica. Ovvero nel ruolo di vero e unico padre-padrone della televisione di Stato agli ordini diretti di palazzo Chigi. Un colpaccio non da poco per il bravo Renzi.
Ma veniamo agli eletti, ai lottizzati di questo capolavoro targato destra sinistra centro, spiegando subito che una figura ci interessa più delle altre. E ci interessa soprattutto perché al centro di valutazioni e critiche che due settimane fa, già spiegavano perché, sulle vicende Rai sarebbe andata a finire così. Nel nostro documento “Salviamo l’Inpgi” infatti spiegavamo perché, alla fine, in cambio dello scalpo della categoria qualcuno avrebbe ricevuto il lauto compenso di un lavoro durato anni e pagato con contratti di lavoro da fame e soprattutto con la destrutturazione giuridica ed economica della professione. Il tutto per assecondare il processo di asservimento della categoria alla politica. Nella rosa del poker d’assi dei suoi uomini per i vertici di viale Mazzini il Pd ha inserito il nome di Franco Siddi. E chi ci legge sa che stiamo parlando di un signore da decenni ai vertici del Fnsi, il nostro sindacato.
L’ultima apparizione pubblica dello stesso in qualità di segretario nazionale della Fnsi fu nel corso dell’inutile e provocatorio sciopero dei giornalisti italiani chiamati in piazza del Popolo, il 3 ottobre del 2009, a battere le mani (pochi in verità) sotto le bandiere di Pd, Sel e Cgil per difendere “la dignità e l’autonomia(sic) dei giornalisti italiani”. In verità non si scioperava per la categoria ma “contro il governo Berlusconi”. Vicino a lui ricordo anche Roberto Natale segretario dei giornalisti Rai. Una giornata gloriosa e memorabile che da li a poco avrebbe portato novità agli sbigottiti giornalisti italiani con Natale che sceglieva casa Sel ma che sebbene trombato alle politiche, veniva subito compensato con il passaggio nel ruolo di portavoce della presidente della Camera Laura Boldrini. Ed il nostro segretario nazionale? Per Siddi le cose andavano un po’ diversamente. Dopo la firma di accordi nazionali vergognosi, si metteva in “aspettativa”, gestendo stancamente il nostro collasso e dopo aver passato il timone della Fnsi ad amici sicuri, decideva di mettersi ad aspettare. Cosa? La risposta, ieri, dalle nomine Rai. Una storia degradante per tutti noi ma non per l’ex segretario della Fnsi che non ricorderemo certo (a proposito di requisiti) per la brillante carriera professionale da redattore ordinario alla Nuova Sardegna, carriera sacrificata sull’altare generoso della difesa dei diritti altrui, ma piuttosto per quella ben più importante e remunerata di consigliere della Rai.
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