Mucchio selvaggio-Lazio per festeggiare la riconquista del terzo posto
Il posticipo serale che ha fatto calare il sipario sull’ennesimo round della sfida al vertice tra Juve e Roma (ma non sulla 1° giornata del girone di ritorno: stasera chiuderanno il programma Empoli-Udinese e Napoli-Genoa) ha fatto registrare il tanto temuto, in casa giallorossa, ulteriore allungo in classifica di Madama che, adesso, può guardare i rivali dall’alto di un rassicurante +7 e, diciamola tutta, è anche andata bene. La Juve, in realtà, ha sofferto oltre ogni ragionevole aspettativa per riuscire a forzare il bunker eretto dal Chievo ma quell’immenso campione che risponde al nome di Paul Pogba (circuito da mezzo mondo ormai, ma pensate cosa sarebbe la nostra serie A senza il francese, Tèvez e Dybala…) ha, praticamente da solo, trovato la soluzione al complicatissimo rebus gialloblu segnando in proprio l’1-0 con un fendente da fuori area a mezz’ora dal termine e propiziato il raddoppio di Lichtsteiner per i titoli di coda. Non una prestazione memorabile, nel complesso, quella offerta dai campioni d’Italia, ma la sensazione che il problema fosse solo quello di sbloccare il risultato, quella sì.
Il gol-apriscatole di Paul Pogba
Ben altri i problemi, e anche ben altra la qualità degli avversari, che ha dovuto fronteggiare la Roma. Una Fiorentina che i deficitari risultati delle milanesi e lo stop interno della Samp, proiettavano di nuovo in zona “terzo posto”, forte di due successi consecutivi in campionato con un franco successo in Coppa Italia a corroborare il buon momento e con un Vincenzo Montella voglioso come non mai di sfatare il tabù Roma, da lui mai battuta quando l’ha affrontata da mister. Insomma, una partita che si preannunciava ad elevatissimo coefficiente di rischio per gli uomini di Garcia. Il campo del Franchi ha non solo confermato i timori della vigilia ma ha rafforzato, ove possibile, il convincimento che la Roma stia attraversando una fase molto delicata di questa stagione, prigioniera di una crisi d’identità evidente (mostrare subito la faccia cattiva di chi è più forte o cercare di gestire al meglio i momenti?), probabile eredità dei passi falsi in Champions (sbornia con il Bayern in testa) che qualche tarlo di troppo deve aver instillato nella testa dei giocatori. La Fiorentina, mentalmente più libera, come la Lazio e il Palermo avevano già fatto, non si è persa in amletiche titubanze e ha iniziato subito in tromba aggredendo in velocità la squadra ospite.
Il pareggio di Adem Ljajic
E come già accaduto nel derby e in Sicilia si è assistito ad una prima frazione quasi del tutto a senso unico (se si eccettua una prodezza di Tatarusanu su inzuccata di Nainggolan, come sempre il migliore dei suoi), con i viola presto avanti grazie ad una deviazione volante di Mario Gomez, tenuto in gioco da Holebas, e bravo a rovesciare alle spalle di De Sanctis una conclusione dalla distanza probabilmente velleitaria di uno dei tanti ex della gara, David Pizarro. Ma anche Tomovic, Basanta e Matias Fernandez andavano vicini tanto così al raddoppio. Per tacere di un’incursione di Pasqual messo giù da Manolas (contrasto valutato di spalla, mah…). E, come avvenuto contro Lazio e Palermo, lo schiaffone preso nel primo tempo stordisce ma non manda knock out la formazione di Garcia che, subito al 3° della ripresa, esce dalle corde e perviene al fulmineo pareggio con un altro ex, Adem Ljajic, ottimamente servito da un Iturbe che aveva già dato segni di risveglio in Coppa Italia (come Mario Gomez, del resto), a sua volta innescato da un lancio millimetrico di Totti (poco altro per il capitano, in verità). Ma, ennesima analogia con le altre due gare riacciuffate in rimonta, se è vero che la Roma ha fatto meglio nei secondi tempi, è anche onesto ammettere che, quanto a gioco e a numero di occasioni, i primi tempi delle tre rivali da ultimo affrontate sono stati largamente migliori delle seconde frazioni giallorosse. Per fortuna della Roma, il calcio non è come il pugilato e non si possono assegnare le vittorie ai punti. I vicecampioni avrebbero meritato di perdere tutte e tre le gare.
Quali i mali oscuri, se tali si possono chiamare? La difesa non è più impermeabile come l’anno scorso e, per quanto la società si sia mossa molto sul mercato, non c’è niente da fare: l’infortunio di Castàn e la cessione di Benatia pesano come macigni. Ma, più ancora, è il centrocampo a preoccupare: pochissimi i palloni puliti recapitati alle punte. De Rossi molto sotto tono e Pjanic che, dopo la punizione-capolavoro a Parma, sembra aver esaurito voglia e ispirazione. Intanto, la Juve, senza brillare e strafare, va.
Gli eroi del -9 mostrano la maglia-bandiera
Ma la copertina di giornata, a prescindere dall’eventuale controsorpasso del Napoli, la merita tutta la Lazio. La serata di sabato è stata una serata di emozioni, commozione, ricordi, sofferenza, gioia e dolore. Una serata da veri laziali. Sin dal prepartita, con il sentito ricordo del compianto collega Pietro Pasquetti, aquilotto doc. Per proseguire con l’ingresso in campo della squadra di Pioli vestita con le mitiche maglie-bandiera del 1982/83 (sì, non lo hanno scritto in molti anche quell’anno, che culminò con il ritorno in A, la Lazio giocava con quella casacca, anche se fornita da una casa diversa rispetto a quella utilizzata dai ragazzi di Fascetti quattro anni più tardi) e del 1986/87 (la stagione che consegnò alla storia biancoceleste gli eroi del -9), con l’inconfondibile aquila stilizzata sul petto. Quindi, la partita, l’ennesimo match-spareggio per rimanere in quota terzo posto con il Milan. Inizio vibrante, come vibranti (e giustificate) sono le proteste di Radu per un chiaro rigore non assegnato dal solito, ineffabile Mazzoleni. E, come una beffa, subito dopo, la doccia fredda di Mènez, bravo ad approfittare dell’unico (ma grave) svarione di Basta. Partita che sembra maledetta con la Lazio che, furente, assedia il Milan, lo stordisce, a tratti sembra persino irriderlo, tanto netto appare il divario tra le due formazioni. Occasioni a grappoli, Diego Lòpez che inventa una parata ai confini della realtà con il braccio di richiamo. Errori, anche marchiani, di misura, sottoporta. E frazione che si chiude con Mauri che va giù ben dentro l’area. La trattenuta di Mexes la vedono tutti. Mazzoleni, ovviamente, no. E ci sarebbe potuto essere anche un terzo penalty nella ripresa (Armero sempre su Mauri). Errori gravi e pesanti che, dopo il netto rigore non concesso domenica scorsa con il Napoli, avrebbero potuto compromettere quasi del tutto le chances laziali di arrivare sul terzo gradino del podio.
Il 2-1 di Miro Klose
Ma, per fortuna, stavolta la ripresa è finalmente amica degli uomini di Pioli (ma quanto è stato ed è tuttora sottostimato il tecnico emiliano?) e, nel raggio di soli 6 minuti, alla Lazio riesce quello che non era riuscito nei precedenti 45: ossia, due reti per rovesciare completamente il match. Sugli scudi, un ritrovato Miro Klose, prima autore di un assist al bacio per l’acrobazia vincente di Parolo e dopo in rete in proprio (su gentile omaggio di …Montolivo), a infrangere un digiuno che si protraeva ormai da Lazio-Cagliari 4-2 del 3 novembre scorso.
Il 3-1 di Parolo mentre Djordjevic, a terra, chiede il cambio
Poi, Parolo coronava la sua grande serata (peraltro, il giorno dopo avrebbe festeggiato gli anni) con la doppietta personale del definitivo 3-1. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi? No. Non sarebbe una serata da veri laziali. La sofferenza e il dolore è sempre lì, dietro l’angolo. E stavolta si dipinge sul volto rigato dalle lacrime di Filip Djordjevic, inciampato sul pallone prima che Parolo lo spedisse nella porta rossonera: legamento saltato e stagione praticamente finita per lui. A corollario, anche la ricaduta di uno stoico De Vrij, rimesso in piedi all’ultimo momento. Al suo posto si è potuto ammirare il neoacquisto, Mauricio, che, per quel poco che si è visto, non è parso malaccio. Considerati anche i cartellini a Radu e a Biglia, diffidati, la partita di Cesena sarà l’ennesima gara da affrontare in piena emergenza. La preoccupazione maggiore, però, rimane quella per il centravanti serbo. Ora la società è chiamata ad intervenire sul mercato anche nel reparto punte (Pazzini? Bergessio? Addirittura Osvaldo? Alla suggestione Balotelli non ha mai creduto nessuno…).
L’ultima follia di Philippe Mexes
Una nota a parte merita, infine, il comportamento assurdo di Mexes: un uomo di quasi 33 primavere ma con il sistema nervoso di un bambino. Bullo, peraltro. Non una novità. Ma mai il francese si era saputo spingere così in là. E, dati i suoi standard, non era impresa semplice. Si è superato. Il giudice sportivo non mancherà di offrirgli il modo di riflettere. A lungo. Quanto alla crisi rossonera, dispiace che, come da italica usanza, adesso stia sulla graticola Pippo Inzaghi. Probabilmente, non ancora pronto per palcoscenici del genere, ma con responsabilità, a nostro avviso, molto prossimo allo zero: i suoi giocatori sono semplicemente scarsi.
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