Facciamocene una ragione. Il governo, nato da un ribaltone, si farà. Una ulteriore conferma che i regimi, in Italia, sono duri a morire. Fanno parte del nostro dna e sono sempre fortemente orientati al mantenimento dello status quo. La tavola apparecchiata, le luci, quel sottile piacere di trovarsi dalla parte di chi può dire si o no, di includere od escludere a nostro piacimento, è una calamita micidiale. Quasi una droga. Stare nei palazzi del potere è come imparare a camminare da bambini. Fatti i primi passi non si può più smettere.
Lo dimostrano le miserabili trattative da Prima Repubblica di questi giorni. Ma se per Zingaretti e Pd, ci siamo trovati di fronte ad un dejà vu, una riedizione periodica della peggiore partitocrazia, per i Cinquestelle si tratta di una novità assoluta che pochi immaginavano soltanto qualche mese addietro.
La verginità politica dei “gialli”e ormai solo un pallido ricordo. In caso di ricorso anticipato alle urne, come con insistenza chiede Salvini ed il fronte del centrodestra, Grillo, Di Maio, Fico e compagni, potrebbero pagare un prezzo salatissimo in termini elettorali.
Questa considerazione va fatta, perché non possiamo non prendere atto che sono stati sufficienti solo trenta giorni, per liquidare una esperienza di governo, quella a guida Lega-M5S che aveva cominciato a dare alla società italiana o almeno a quella parte di essa, onesta lavoratrice e produttiva con innegabile voglia riscatto, segnali di profondo cambiamento.
Una esperienza di tredici mesi che aveva cominciato a dare le risposte che milioni di italiani attendevano: dal reddito di cittadinanza alla politica sull’immigrazione. Dal contenimento delle regole giugulatorie e penalizzanti della Ue a guida franco tedesca, al braccio di ferro con i mastini finanziari della Bce.
Avevamo cominciato a vedere un fisco più equo in preparazione di una flat-tax e di un taglio al cuneo fiscale che avrebbe potuto imprimere una forte accelerazione al rilancio dell’economia ed una maggiore giustizia sociale.
Avevamo intravisto e toccato con mano la possibilità di mettere alla frusta gli intoccabili grandi gruppi bancari e imprenditoriali che impuniti, hanno fatto il bello e cattivo tempo per decenni.
Quelle prime importanti mosse facevano ben sperare. Ma quella scelta cosi rivoluzionaria rispetto ai tempi biblici della palude italiana, non piaceva. Non doveva passare. La macchina dei guastatori il 5 marzo, si era già messa al lavoro. Poi quel colpo di sole al Papeete beach a complicare tutto e a rimettere in corsa il partito degli sconfitti e dei morituri, dentro e fuori delle direzioni dei partiti. Un assist incredibile che ora ci regala un Conte bis.
Un governo che non nasce certo dalla volontà di Grillo, Di Maio e dagli aficionados del Rousseau, ma da chi, in funzione antisovranista, da tredici mesi, in Italia e al’estero, puntava ad umiliare e disfare quell’Italia che il 4 marzo del 2018, con un voto plebiscitario in favore di Cinquestelle e Lega, aveva deciso di voltare pagina. Rispetto alla vecchia politica e ad un mondo politico e istituzionale, a guida Pd, che per dieci anni aveva massacrato e distrutto le più elementari regole del gioco democratico.
Enzo Cirillo
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