Ore cruciali per la soluzione della crisi ucraina. Dopo aver incontrato il presidente Petro Poroshenko ieri a Kiev, oggi Angela Merkel e François Hollande sono a Mosca per incontrare Vladimir Putin. L’obiettivo è quello di convincere il capo del Cremlino ad abbandonare l’opzione militare per quanto riguarda la questione della secessione dei filorussi dell’Ucraina orientale.
La situazione, ha detto oggi la Merkel, è “fluida”. L’obiettivo dei leader UE è fermare prima possibile le ostilità fra il governo di Kiev e le truppe dei separatisti nelle regioni orientali di Donetsk e Lugansk, nel cosiddetto Donbass, il bacino del Don, che hanno ripreso di intensità nelle ultime settimane.
La cancelliera tedesca si è detta convinta che “non ci sarà alcuna soluzione militare di questo conflitto”, ma un portavoce ha poi dovuto precisare che al momento non c’è nemmeno “alcun segnale di una svolta imminente”. Hollande e Merkel dovrebbero presentare a Putin il progetto di pace messo a punto con Poroshenko. Massimo riserbo sui dettagli, anche se la Merkel ha smentito le voci di concessioni territoriali ai separatisti: si potrebbe pensare a un intervento dei caschi blu dell’ONU.
Nello stesso tempo, anche il segretario di Stato USA John Kerry era a Kiev per conferire con il primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk. Nel corso di una conferenza stampa, Kerry ha ammesso che il presidente Obama sta prendendo in considerazione l’ipotesi di armare Kiev contro i separatisti, ma ha ribadito che la soluzione diplomatica rimane la preferita di Washington. Il capo della diplomazia USA, al momento, ha comunque deciso di appoggiare il piano di pace di Merkel e Hollande, definendolo una “controproposta” al piano presentato da Putin a gennaio e respinto da Kiev, riaffermando l’inutilità di qualsiasi “pace unilaterale”. Kerry e Yatsenyuk hanno denunciato la presenza di truppe e armamenti russi a fianco dei separatisti.
Nei prossimi giorni, Kerry sarà al vertice internazionale sulla sicurezza di Monaco di Baviera, alla presenza del Segretario generale NATO Jens Stoltenberg, dell’Alto rappresentante UE per la politica estera Federica Mogherini e di una sessantina di ministri degli Esteri e della Difesa di tutto il mondo. Secondo l’agenzia Reuters, a margine della conferenza Kerry potrebbe incontrare il suo omologo russo Sergej Lavrov.
Nel frattempo, la NATO, per fronteggiare eventuali stati di crisi, ha avviato un imponente piano di riposizionamento militare nel teatro dell’Europa orientale. Il Segretario generale Stoltenberg lo ha presentato ieri a Bruxelles al vertice dei Ministri della Difesa dell’alleanza atlantica, definendolo il più grande dai tempi della Guerra Fredda. Il “dispositivo di impiego rapido”, ovvero la forza di pronto intervento costituita appena lo scorso settembre, sarà portato a 30.000 effettivi dagli originali 13.000, con sei centri di comando istituiti in altrettanti Stati (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria). Quando sarà messo a regime potrà intervenire sul territorio in 48-72 ore. Ne farà parte anche una brigata multinazionale per le operazioni più rapide, battezzata Spearhead (“Punta di lancia”), forte di cinquemila unità, la cui costituzione sarà accelerata al massimo: dovrà intervenire nel caso in cui uno Stato NATO subisca un attacco dall’esterno, o si ritrovi destabilizzato da una ribellione pilotata da Mosca.
Oltre agli uomini, il piano prevede un importante aggiornamento delle dotazioni belliche nel teatro europeo orientale, con armamenti e mezzi ad altissima tecnologia. Questi sviluppi preoccupano diversi Stati presenti al vertice: Italia, Olanda, Gran Bretagna, Lituania, Germania. Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen ha dichiarato di preferire una strategia basata su pressioni economiche e politiche a una fondata sulle armi, che “non avvicinano alla soluzione” e “non metteranno fine alle sofferenze della popolazione”.
Da parte sua, Stoltenberg continua a ribadire che l’Ucraina non fa parte della NATO e che l’alleanza non affiancherà il suo governo nella lotta interna alla nazione, ma ha anche ammonito a rispettare la sovranità di Kiev e il suo diritto a difendersi. Il suo predecessore Rasmussen ha dichiarato al Daily Telegraph di temere un intervento russo in qualche Stato baltico, per mettere alla prova la capacità e la volontà di intervenire della NATO.
Se i timori di Rasmussen sono tutti da dimostrare, certamente il gioco al rialzo della NATO preoccupa i russi, e potrebbe avere l’effetto di scatenare una nuova corsa agli armamenti. Per adesso Putin si è limitato ad anticipare la mobilitazione per due mesi dei riservisti, una prassi che si ripete ogni anno. Attraverso il portavoce Jurij Ushakov, il Cremlino si è dichiarato pronto a tenere negoziati costruttivi; ma il portavoce del ministero degli Esteri Lukashevich ha avvertito gli USA che qualsiasi fornitura di armi all’Ucraina sarà interpretata come una minaccia alla sicurezza nazionale russa.
Nel Donbass intanto le ostilità proseguono senza sosta da giorni, con perdite in entrambi gli schieramenti e morti e feriti nella popolazione civile. Mercoledì a Donetsk un ospedale è stato colpito da un colpo di artiglieria; il numero delle vittime varia da quattro a quindici a seconda delle fonti interpellate. Oggi è in vigore una tregua umanitaria di nove ore intorno alla città di Debaltseve, contesa per l’importanza strategica del suo nodo stradale e ferroviario. Circa tremila abitanti della città, devastata dai bombardamenti, dovrebbero mettersi in salvo nelle regioni circostanti.
Filippo M. Ragusa
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