Inizia con un voto sul filo di lana il lungo e travagliato iter del nuovo assetto dello Stato italiano. Si comincia dalle Province, destinate a sparire dal 1° gennaio 2015.
Ieri il Senato, anche se a stretta maggioranza e grazie al voto di fiducia, ha dato il via libera al decreto legge Delrio che ora torna alla Camera.
Come prima conseguenza, il 25 maggio prossimo gli italiani non dovranno votare per i nuovi consigli provinciali. Vanno a casa 3 mila politici e lo Stato, tra mancate retribuzioni e spese elettorali potrà così risparmiare più di 400 milioni di euro solo quest’anno testo.
In attesa della riforma definitiva che scaturirà dalle modifiche che il Parlamento apporterà al Titolo V della Costituzione, le Province diventano “enti territoriali di area vasta” le cui funzioni saranno in capo alle “città metropolitane”. Nascono 9 centri allargati (Torino, Milano, Venezia, Trieste, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria) che si aggiungono a Roma Capitale. La scelta è stata oggetto di ampia discussione con non pochi contrasti sugli aspetti istituzionali tra l’Aula e la commissione affari costituzionali. Il testo esaminato dalle Commissioni è stato largamente emendato dal governo che ora dovrà affrontare la sfida della Camera, dove comunquwe l’esecutivo, godendo di un’ampia maggioranza non corre assolutamente rischi.
In sintesi, con questa decisione comincia un lento percorso di cambiamento della struttura statale, con un graduale ma definitivo passaggio delle competenze provinciali (scuole, strade, ecc.) a Comuni e Regioni.
“Poniamo le premesse per una nuova riorganizzazione dello Stato – ha commentato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio – Le Città metropolitane diventeranno il luogo della competizione economica con le altre grandi aree europee e luogo di coordinamento efficace dei servizi pubblici. Le Province restano per ora solamente come agenzie di servizio ai Comuni e non più con funzioni duplicate per una pubblica amministrazione più efficiente e semplice”.
Secondo il testo ora all’attenzione dei deputati, le Province si trasformano in “enti di area vasta”, che avranno limitate funzioni fondamentali proprie legate alla programmazione e pianificazione in materia, tra le altre, di ambiente, trasporto, gestione dell’edilizia scolastica, di controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e alla promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale. Nel testo si sostiene l’idea di “ruolo servente verso le comunità locali e i loro cittadini”.
Muta anche l’assetto istituzionale: il presidente della provincia sarà un sindaco eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali, sarà in carica per cinque anni, non riceverà alcuna indennità specifica per questo ruolo. Verranno, inoltre, abolite le giunte provinciali, e i consigli provinciali saranno composti dal sindaco che presiede la provincia, e dai sindaci e dai consiglieri comunali, in carica per due anni al loro interno, in un numero proporzionale al numero di abitanti della provincia: 16 componenti per province sopra i 700mila abitanti, 12 in quelle con popolazione tra i 300 e i 700mila abitanti e 10 fino a 300mila.
Organi di governo delle 10 città chiave saranno il sindaco metropolitano, primo cittadino del comune capoluogo; il consiglio metropolitano, organismo di indirizzo e controllo; e dalla conferenza metropolitana formata dal sindaco metropolitano e dai primi cittadini della nuova area amministrativa.
Alle città metropolitane sono inoltre attribuite, tra le varie funzioni, compiti specifici quali l’adozione e aggiornamento annuale del piano strategico triennale del territorio, ma anche la pianificazione territoriale generale, la mobilità e lo sviluppo sia economico che sociale delle aree interessate.
Stretta, sulla carta, la tabella di marcia: già dal primo giorno di gennaio del 2015 le città metropolitane subentreranno alle province omonime e il sindaco del Comune capoluogo assumerà le funzioni di sindaco metropolitano.
Per Delrio si tratta di un “un grande passo per un paese più semplice” e che “offre più opportunità”. Soprattutto elimina definitivamente le ”sovrapposizioni di funzioni tra enti”.
Non si placano, però, le polemiche sul testo: mentre la sinistra plaude al lavoro del Senato, il quale ha anche votato l’urgenza per il ddl costituzionale che dovrebbe cancellare la parola “province” dalla Costituzione, l’opposizione punta il dito contro la riforma.
Quindi, se per il leader del Centro Democratico Bruno Tabacci si tratta dell’”inizio di un percorso virtuoso di riduzione e di semplificazione della macchina amministrativa dello Stato e dei conseguenti troppi rubinetti aperti della spesa pubblica”, il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri parla di “una truffa con il trucco mediatico”, poiché “il governo sta moltiplicando le poltrone negli enti locali”.
Suona un campanello d’allarme anche Mario Mauro, leader di Popolari per l’Italia. Pur ribadendo sostegno al Governo, invita all’ “Attenzione perché se lo scopo è dire delle cose senza farle, noi rischiamo di perdere credibilità ancora più di prima”. Mauro osserva come “Ci sarà la parità di genere dal 2019, ma le elezioni europee per le quali servivano sono tra trenta giorni. Facciamo una legge per abolire le province, che di fatto non le abolisce. Questo Paese – conclude – ha bisogno di azioni”.
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