In Olanda hanno vinto i liberali. Non sfonda la destra xenofoba di Geert Wilders, e l’Europa tira un sospiro di sollievo. Ma il quadro elettorale è più frammentato che mai, e formare una coalizione di governo non sarà facile.
A votare per i 150 membri della Camera bassa degli Stati Generali dell’Aia – i 75 della Camera alta, invece, sono nominati dalle assemblee provinciali – si è presentato l’82% degli aventi diritto: un numero altissimo, anche in un Paese dove la partecipazione politica è sempre molto sentita, che non si raggiungeva dal 1981.
Il Partito popolare della libertà e della democrazia (VVD), del premier uscente Mark Rutte, si è imposto alle parlamentari con il 21,2% dei voti, facendo meglio del previsto e limitando le perdite. I deputati VVD passano da 40 a 33, sui 150 componenti della camera bassa dell’Aia. Arriva secondo il Partito della libertà (PVV) di Wilders, con il 13,1% dei voti e 20 seggi. Non si ripete quindi l’exploit delle europee del 2014, quando gli xenofobi antieuropei conquistarono il 17%. 19 seggi a testa per cristiano-democratici (CDA) e liberali progressisti (D66), entrambi poco sopra il 12%.
Al quinto posto, appaiati con i socialisti, si piazzano i verdi di Groenlinks, guidati dal trentenne Jesse Klaver. I verdi hanno fatto segnare un balzo in avanti (sono passati da 4 a 14 seggi), ma non sono riusciti a superare la soglia psicologica del 10% come sostenevano alcune previsioni della vigilia.
A sinistra approda per la prima volta in parlamento DENK, il partito antirazzista fondato da un gruppo di deputati di origini turche usciti dai quadri laburisti. La formazione avrà tre rappresentanti alla camera bassa.
Affonda invece, anche al netto della crisi generale delle sinistre, il Partito dei lavoratori (PvdA). Gli elettori di sinistra non hanno perdonato a Lodewijk Asscher e ai suoi sodali – il più famoso alle nostre latitudini è Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo e noto sostenitore del rigore nella gestione delle casse dello Stato – il sostegno dato al governo Rutte, che hanno sì risanato i conti pubblici e diminuito la disoccupazione, ma a prezzo di riforme impopolari soprattutto fra le classi medie e basse, il bacino tradizionale dove il PvdA andava a pescare i voti. E così il contingente laburista si è ridotto da 38 deputati ad appena 9.
Il primo leader europeo a congratularsi con Rutte è stato il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, che si è complimentato con gli olandesi per aver votato “per l’Europa” e “contro l’estremismo”. Anche il presidente francese François Hollande ha parlato di “chiara vittoria contro l’estremismo” nel paese “più tollerante d’Europa”.
I valori dell’apertura, del rispetto per gli altri, e la fede nel futuro dell’Europa sono l’unica vera risposta agli impulsi nazionalisti e agli isolazionismi che stanno scuotendo il mondo.
Di tutt’altro segno i commenti dalla Turchia, che porta avanti da giorni un acceso scontro diplomatico con l’Aia. “Non c’è differenza tra i socialdemocratici e il fascista Wilders”, dice il ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, uno dei due ai quali Rutte ha proibito di tenere comizi davanti ai loro connazionali residenti in Olanda.
Hanno tutti la stessa mentalità. Avete dato inizio al collasso dell’Europa. State trascinando l’Europa nell’abisso. Presto in Europa inizieranno le guerre di religione.
Tanto entusiasmo da parte UE, comunque, non deve illudere: il compito che attende i liberali nelle prossime settimane non è facile. Quella di Rutte non è una vittoria né netta né totale. Sembra più adatto a descriverla il titolo di Politico.eu: “Come vincere perdendo”.
Prima delle elezioni, Rutte aveva dichiarato che avrebbe cercato di formare una coalizione con cristiano-democratici e liberali progressisti, CDA e D66, che già fornivano appoggio esterno al suo governo nella legislatura precedente. Ma sommando i seggi delle tre formazioni si arriva solo a 71, cinque meno della maggioranza.
C’è il rischio concreto di dover formare un governo di minoranza – con un mandato molto ridotto, per ottenere l’appoggio esterno di altre liste – o peggio, l’opzione spagnola: nessun accordo e tutti di nuovo alle urne.
Per evitare tutto questo occorrerà mettere d’accordo anche un quarto partito (che potrebbe anche essere quello laburista). Serviranno settimane, o più probabilmente mesi, di faticosa mediazione. Ma nello scontro a distanza contro il populismo – la metafora calcistica è farina del sacco di Rutte, non l’unico a praticare queste analogie – l’Europa ha superato i “quarti di finale”. E ora guarda con nuova speranza alla semifinale – le presidenziali in Francia, tra aprile e maggio – e alla finale (le politiche in Germania a settembre).
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