Roma non avrà le Olimpiadi 2024. Questa decisione, che farà discutere ancora per molto, è stata presa dal neosindaco Virginia Raggi alla scadenza del suo terzo mese nei panni di primo cittadino della Capitale. Adesso dobbiamo capire cosa significa questa scelta per l’Italia, per lo sport e soprattutto per il Movimento Cinque stelle, oltre che per i cittadini romani. Ed è proprio da questi ultimi che vorrei partire, per dare una risposta sensata ai tanti interrogativi che questo ‘no’ irrevocabile alla candidatura, si porta dietro.
Personalmente condivido la scelta del sindaco e accetto anche l’idea che con l’organizzazione dei Giochi Olimpici, Roma e l’Italia avrebbero corso non pochi rischi da un punto di vista sia economico che sociale. E senza tornare alle sterili considerazioni che vogliono questi appuntamenti come altrettanti opportunità di business, c’è da dire che le Olimpiadi rappresentano un terno al lotto dove vincere è quasi sempre una “mission impossible”.
Accantoniamo per un attimo le motivazioni (tante, in verità) di quanti sostengono che nei prossimi anni su una città disatrata da trent’anni di sfasci, malcostume e corruzione sarebbero piovuti non meno di quattro-cinque miliardi di investimenti pubblici e facciamo una riflessione sulle conseguenze di questa “manna”. Sicuramente quei soldi avrebbero fatto respirare finanziariamente l’amministrazione capitolina. Ma a quale prezzo? Visti gli strascichi giudiziari che questi eventi, in materia di appalti ed assegnazione degli stessi, spesso si portano dietro, pensare al peggio, quando si parla di preparazione di un evento simile, diventa quasi un passaggio obbligato.
E qui sta il primo nodo. Perchè dire sì a qualcosa che più che ai cittadini porta vantaggi ai soliti noti: grandi costruttori, banche, amministratori corrotti e sottobosco politico? Alla Raggi questa considerazione, nelle ultime settimane, deve aver tenuto compagnia sia il giorno che la notte. E alla fine, è indubbio, che questo tarlo ha fatto pendere la bilancia verso il rifiuto.
Una considerazione però vince su tutto. Cosa pagherebbero i cittadini romani, in termini di disagi e condizionamenti nella vita di tutti i giorni, da qui al 2024? Tanto, tantissimo. Le esperienze dei grandi appuntamenti internazionali legati allo sport sono da sempre una iattura per la Capitale, una citta, è bene ricordarlo, con il più grande centro storico del mondo e con la peggiore viabilità in assoluto del Paese.
Basti ricordare i disatri infrastrutturali legati ai mondiali di calcio del 1990. Abbiamo dimenticato le stazioni ferroviarie fantasma ed i raccordi stradali e autostradali incompiuti? Le complanari dei più importanti assi stradali dell’area metropolitana, che non sono mai andati oltre la semplice progettazione? Ed i raddoppi dei tracciati da e per gli aeroporti di Ciampino e Fiumicino, chi li ha mai visti? Vogliamo parlare della “cura del ferro”, una tesi peregrina, cara un po’ a tutti e alla sinistra radical chic in particolare? Da 65 anni i romani attendono il completamento e il rispristino dell’anello ferroviario di Roma, praticamente finito già in epoca mussoliniana e non ultimato a causa degli eventi bellici.
Ma veniamo anche incontro alle esigenze di chi dello sport ne fa una questione di sacralità. A Roma, in particolare, questo concetto non funziona, anzi stona come una moneta falsa. Tre casi per non riaprire ma chiudere polemiche mai sopite. Stadio Flaminio. Un capolavoro di architettura moderna firmato negli anni Cinquanta dallo studio Nervi. Oggi versa in condizioni penose, cade a pezzi, abbandonato a se stesso e all’incuria. Comune e Coni dovrebbero vergognarsi di averlo lasciato in queste condizioni. Velodromo Olimpico realizzato per la XVII Olimpiade: altro capolavoro di architettura moderna di Cesare Ligini. Prima abbandonato e poi, dopo quarant’anni di incuria, fatto saltare per aria con la dinamite. E tutto questo per accontentare appetiti speculativi in un area molto interessante dal punto di vista commerciale. E vogliamo parlare delle infrastrutture sportive di Tor Vergata? Di quelle cattedrali nel deserto destinate alle Universiadi e rimaste li a marcire sensa senso? Vogliamo soffermarci poi sugli impianti di nuoto realizzati per i mondiali nel 2009? Parlano i faldoni giudiziari accumulati a piazzale Clodio per avere una idea esatta di quanto quell’appuntamento servì solo ad ingrassare costruttori e politici disonesti.
Tutte queste porcherie stanno li a testimoniare stagioni di fallimenti brucianti e ricordarci che a Roma fare le cose bene ed in maniera onesta non è facile. Per vedere qualche meeting internazionale di atletica o tennis abbiamo dovuto alzare impalcature e tribune su vecchi impianti del Foro Italico. Siamo sicuri di avere gli uomini politici, i manager e le capacità tecniche ed amministrative per misurarci con i grandi eventi? Io ritengo di no.
Alla fine va fatta anche un’altra considerazione. Tutti concordano che a Roma servono dieci anni almeno per aggiustare i guasti provocati da amministrazioni capitoline non all’altezza del ruolo e dei compiti che la città esigeva. Vogliamo parlare di Ama e rifiuti? Di reti di energia, acqua e cablaggio che non esistono? Preferiamo andare sul versante trasporti? Venti anni non sono stati sufficienti a trasformare l’Atac in una azienda degna di questo nome, così come, malgrado il fiume di denaro pubblico investito, non siamo ancora riusciti a dire la parola fine alla realizzazione delle linea C della metropolitana.
Con questi precedenti, siamo proprio sicuri che la Raggi abbia fatto male a dire no alla candidatura di Roma? Ma chi è “l’irresponsabile” in questa storia? Un sindaco maleducato ed arrogante che fa attendere quaranta minuti in anticamera i vertici dello sport italiano e sceglie di defilarsi, o chi spinge per un sì con tante inaccettabili riserve? Il sindaco ha fatto una chiara ammissione di non essere all’altezza della situazione, ma ha anche espresso la piena consapevolezza che la partita Olimpiadi nella Città eterna, l’avrebbero giocata altri: i poteri forti che da troppo tempo la controllano e la gestiscono a proprio piacimento. Meglio soprassedere. E cosi è stato.
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