Con la caduta di Palmira, l’ISIS controlla ormai metà del territorio siriano e la maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas del paese.
La città anche nota con il nome arabo e aramaico di Tadmor, sede di uno dei siti archeologici più importanti del mondo, è stata conquistata ieri dai miliziani dell’autoproclamato califfato.
È la prima volta che i jihadisti strappano un obiettivo direttamente dalle mani del regime del presidente Bashar al-Assad: prima d’ora, tutti i loro avanzamenti in Siria erano avvenuti ai danni delle varie formazioni ribelli, attive in territorio siriano dal 2011, all’indomani della Primavera araba.
La notizia era nell’aria da giorni. Nell’ultima settimana l’esercito siriano, assistito dalle milizie fedeli al presidente, aveva provato a respingere gli assalti dei jihadisti, anche a prezzo di dover bombardare la città, ma senza mai dare l’impressione di poter resistere per molto.
Ieri, l’ISIS ha sferrato l’attacco decisivo partendo dai sobborghi a nord della città, che nei giorni scorsi erano più volte passati di mano in mano. I lealisti sono stati costretti alla ritirata.
Lasciare Palmira rappresenta una grave perdita in chiave strategica per la fazione del presidente: la città era considerata una delle meglio difese di tutta la Siria. È infatti situata in un punto di passaggio obbligato lungo l’unica strada che collega la capitale Damasco – situata all’estremo sudovest del paese – con la valle dell’Eufrate e la città di Dayr al-Zor, già nelle mani dell’ISIS dall’anno scorso.
A testimonianza dell’importanza strategica della posizione, e a conferma indiretta del passaggio di mano, l’aviazione fedele al regime ha continuato a bombardare la città nuova, costruita nel XX secolo per allontanare la popolazione civile dall’area archeologica.
I miliziani avrebbero comunque la città saldamente in mano: secondo le poche e frammentarie notizie che filtrano dalla città attraverso telefoni e internet, le bandiere nere sono spuntate in tutti i quartieri, sull’ospedale, sul palazzo del municipio e sul famigerato carcere di massima sicurezza che sorge in città, che ha fama di mattatoio del regime.
I jihadisti hanno fatto strage dei soldati e dei miliziani catturati, e alcuni video di decapitazioni sono finiti online. Contro i superstiti che hanno deciso di nascondersi in città, piuttosto che scappare, sono stati organizzati rastrellamenti casa per casa.
Il califfato ha imposto il coprifuoco per tutta la notte e lanciato messaggi di propaganda dagli altoparlanti delle moschee, che di solito servono a richiamare i fedeli alla preghiera negli orari di precetto, più o meno come le campane nel mondo cristiano.
La presenza in città di un sito archeologico inestimabile, “patrimonio dell’Umanità” UNESCO dal 1980 e incluso nella lista dei “patrimoni in pericolo” dal 2013, ha fatto esprimere a molti la preoccupazione che i jihadisti vogliano ripetere anche a Palmira le devastazioni compiute ad esempio a Mosul, Hatra e Nimrud, nel tentativo di riscrivere la storia cancellando il passato.
Il coro è uno dei più eterogenei mai sentiti: va da Irina Bokova, direttrice generale dell’UNESCO, che ha implorato “lo stop immediato delle ostilità”, al sindaco di Londra Boris Johnson, che ha chiesto – non si sa bene a chi – di istituire una no-fly zone sulle rovine.
Ma mentre Mamun Abdul Karim, direttore del Dipartimento delle antichità siriano, cercava di convincere il pubblico di al-Jazeera che in previsione della battaglia le autorità avessero messo in salvo tutto quello che si potesse spostare, altri, come l’archeologa e attivista Eva Ziedan, hanno messo in guardia da un pericolo più subdolo.
Potrebbe essere proprio l’attenzione ossessiva dei media occidentali a convincere i jihadisti a sfregiare Palmira: “Lo Stato Islamico distrugge quando vuole esibire la devastazione e vende quello che non vuole fare vedere”, ha spiegato Ziedan.
Di fronte alla profusione di commenti sulla sorte del sito archeologico, stride poi la poca attenzione riservata a chi finora ha pagato più caro il prezzo dei combattimenti: la popolazione civile, soprattutto quella della città nuova, che come si diceva in precedenza è stata costruita deliberatamente a distanza di sicurezza dalle rovine.
Oggi i civili sono stretti fra le angherie del califfo e i bombardamenti del presidente, che tanto per fare un esempio negli ultimi giorni hanno colpito una moschea e una scuola.
Il numero dei morti fra la popolazione di Tadmor è un dettaglio che ancora nessuno è stato in grado di calcolare.
Filippo M. Ragusa
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