Ieri sera, dopo giorni di no comment, il premier britannico David Cameron ha ammesso di aver posseduto quote della società offshore del padre Ian. Il nome di Cameron senior, un agente di cambio della City scomparso nel 2010, compare nei Panama Papers fra i clienti dello studio legale Mossack Fonseca.
L’uomo di Downing Street ha concesso un’intervista in esclusiva alla tv privata ITV, nella quale ha spiegato di aver avuto quote in un fondo d’investimento gestito da Blairmore Holdings Inc., la finanziaria fondata dal padre alle Bahamas, ma di averle vendute tutte quattro mesi prima di essere eletto primo ministro.
“Voglio essere il più chiaro possibile sul passato, sul presente, sul futuro, anche perché francamente non ho nulla da nascondere”, ha detto Cameron. “Sono orgoglioso di mio padre, di quello che ha fatto e dell’azienda che ha avviato. Non posso sopportare di vedere il suo nome trascinato nel fango”.
Sia i dividendi, sia il ricavato della vendita – il Guardian parla di circa 19 mila sterline, quasi 25 mila euro al cambio di oggi – sarebbero stati regolarmente dichiarati al fisco britannico.
Gli affari di Ian Cameron nei paradisi fiscali erano già noti alla stampa di settore: erano finiti sui giornali nel 2012 e nel 2014. Nel Regno Unito l’elusione fiscale non è reato, ma il premier, a parole, ha condannato più volte la pratica. E ora sulla sua immagine è comparsa una macchia difficile da ignorare.
Oltretutto, fino a ieri sera, il suo entourage si era sempre rifiutato di rispondere in modo diretto alle domande dei cronisti. Dapprima la portavoce di Downing Street aveva definito la questione “un affare privato”; poi aveva smentito che la partecipazione nel fondo d’investimento caraibico potesse portare benefici “futuri” a Cameron, senza dire niente sul passato, circostanza che aveva solo aumentato i sospetti.
Così sono arrivate le prime richieste di dimissioni: il primo è stato il deputato John Mann, componente della commissione Tesoro alla Camera dei Comuni, che su Twitter gli ha rinfacciato di aver avuto “sei anni di tempo per essere onesto con il Parlamento e i cittadini”. Ora perfino i bookmaker hanno incluso il leader conservatore nella rosa dei capi di governo in odore di abbandonare la poltrona. Nella lista dei candidati a seguire l’esempio del premier islandese Sigmundur Gunnlaugsson, che si è dimesso martedì scorso, Cameron è quotato al quarto posto dopo il presidente ucraino Petro Poroshenko, quello pakistano Nawaz Sharif e quello argentino Mauricio Macrì. E sulla sua testa oggi è caduta un’altra tegola: secondo il Financial Times, tre anni fa il premier scrisse all’allora presidente del Consiglio UE Herman van Rompuy per convincerlo a rivedere al ribasso una direttiva anti-riciclaggio e anti-elusione. “È importante riconoscere una differenza tra aziende e trust”, scriveva Cameron. Proseguiva pregando Bruxelles di non infierire, con gli strumenti pensati per punire gli abusi delle aziende, sugli strumenti finanziari usati dai cittadini britannici soprattutto per gestire le questioni ereditarie.
Qualche ora dopo Cameron – per via del fuso orario – anche Macrì è andato in tv a difendere le proprie ragioni. “Ho sempre rispettato la legge”, ha detto il presidente argentino, “ho detto la verità e non ho nulla da nascondere”.
Nei Papers, l’inquilino della Casa Rosada figura in prima persona, anche lui come titolare di una società con sede alle Bahamas, la Fleg Trading. La Procura Federale di Buenos Aires ha aperto un’inchiesta nei suoi confronti, affidata al magistrato Federico Delgado, che vuole determinare se il presidente abbia “omesso intenzionalmente” di citare la sua presunta partecipazione offshore nelle dichiarazioni fiscali. La Nacion, il quotidiano che pubblica in esclusiva per l’Argentina i risultati delle inchieste dell’ICIJ (“Consorzio internazionale dei giornalisti d’inchiesta”: in Italia escono su L’Espresso), sostiene che Macrì ne abbia assunto la presidenza dal 1998 al 2009. La Casa Rosada ha confermato che il gruppo controllato dalla famiglia del presidente operava offshore, ma nel pieno rispetto delle leggi. Da parte sua, Macrì ha dichiarato di non aver mai percepito un compenso per la carica né di avere altri introiti legati all’attività di Fleg Trading, e sarebbe questo il motivo per cui nulla di tutto questo compare nelle sue dichiarazioni dei redditi.
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