Dopo tensioni e paure, per il dopo voto alle Regionali il Pd pensa a una “fase 2 per il governo” e ad “alleanze larghe”. Non era certo agonizzante, ma è un dato di fatto che al partito di Nicola Zingaretti la ‘chiamata alle armi’ per far votare è valsa l’ottimo risultato conseguito: ne è uscito rafforzato, soprattutto per il fatto di essere stato confermato primo partito in Emilia Romagna – lo era anche alle precedenti regionali del 2014 – con due punti percentuali di distacco dalla Lega.
“Rinforzare l’asse progressista” è ciò che ha chiesto subito il premier Giuseppe Conte che ipotizza un fronte politico comune, “un fronte progressista alternativo alle destre”. Del quale deve essere parte integrante il M5S che dalle politiche del 4 marzo 2018, in Emilia Romagna, uscì primo partito con il 27,5%, che un anno dopo alle europee scese al 17,07% e che ora è arrivato al minimo storico del 4,7%.
Se il movimento voluto da Grillo e Casaleggio si sta sciogliendo come neve al sole, nel Pd emerge subito un preoccupante bipolarismo che vede da un lato Andrea Orlando orientato sulla necessità di “cambiare l’asse politico” – come a dire “dobbiamo pensare a un rimpasto”, e su questo anche Graziano Del Rio sarebbe d’accordo – dall’altro trova il numero uno del Nazareno risoluto a voler blindare il governo e rafforzare l’asse con Giuseppe Conte che, per il segretario dem, dovrà portare stabilmente i 5Stelle nel “campo progressista” a partire dalle elezioni regionali di primavera.
“Nessuna umiliazione”, raccomanda Zingaretti, per i 5Stelle usciti con le ossa rotte, praticamente annientati, dalle elezioni di domenica: “Si governa bene da alleati, non da avversari, c’è chi la chiama subalternità, in realtà è responsabilità”. In pratica, l’ottimo risultato ottenuto domenica 26 gennaio dal partito democratico deve servire alla “stabilizzazione del governo”. Dunque, “nessuna fibrillazione e nessun rimpasto e tanto meno tracotanza e arroganza verso i grillini”, avverte il governatore della regione Lazio. I paletti sembrano fissati.
Ma c’è un ‘ma’, ed è espresso da quella parte politica uscita dallo scrutinio delle regionali “umiliata, con le ossa rotte, praticamente annientata”, come dice Zingaretti. Il successore di Luigi Di Maio alla guida del M5S , Vito Crimi, frena l’entusiasmo del premier e del Pd assicurando che “i rapporti di forza non cambiano”. I Cinque Stelle si dichiarano infatti intenzionati a “rilanciare ancora, non fermarsi, andare ancora più avanti”. Almeno fino agli Stati Generali, previsti a fine marzo, anche se una indiscrezione sul quotidiano Repubblica, oggi, fa capire che potrebbero essere rinviati. Esiste all’interno del Movimento, constata la giornalista Annalisa Cuzzocrea, ed è “talmente profonda da portare a una scissione“.
Ne è consapevole anche il veterano dei Cinque Stelle Max Bugani, vice di Casaleggio, che dopo un’attenta analisi della disfatta di domenica osserva: “Nell’ultimo anno e mezzo non si è voluta guardare in faccia la realtà. Ognuno voleva un M5S fatto a sua immagine e somiglianza. Oggi il M5S non sa più dove andare“.
A suo giudizio bisognerebbe urgentemente evolversi anche sotto altri punti di vista: “Credo che sia legittimo pensare a un Movimento solo contro tutti, come è altrettanto legittimo volerlo in un’alleanza radicata a sinistra oppure a destra. Nessuno ha mai chiesto agli attivisti dei 5Stelle quale dovesse essere la rotta“.
In un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, poco prima della scelta del nuovo capo politico M5S, il capo staff di Virginia Raggi ha svelato come all’interno dei pentastellati vi siano principalmente tre correnti ben distanti tra loro: “C’è chi soffre la distanza da Salvini, chi vorrebbe fare un terzo polo autonomo e chi vuole andare a sinistra“.
Insomma, i Cinque Stelle dopo la batosta delle regionali, solo l’ultima di una lunga serie, deve ancora decidere quale strada intraprendere. Ma, soprattutto, dove andare. E gli Stati Generali sono ancora lontani.
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