E’ stata depositata questa mattina in Procura, a Roma, l’istanza per la riapertura dell’indagine sulla morte del giornalista Mino pecorelli, ucciso in circostanze mai chiarite il 20 marzo 1979. La richiesta, avanzata dalla sorella del direttore del settimanale politico OP, è motivata da una vecchia dichiarazione di Vincenzo Vinciguerra, un ex estremista di estrema destra. Rosita Pecorelli viene assistita dal legale Valter Biscotti del Foro di Perugia che sostituì l’avvocato difensore di Pippo Calò all’epoca del processo che vide coimputati dell’omicidio anche gli esponenti di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti e Michelangelo La Barbera, insieme a Massimo Carminati, il senatore Giulio Andreotti e il giudice Claudio Vitalone.
La donna, oggi 84enne, chiede ai pm di avviare nuovi accertamenti balistici su alcune armi che furono sequestrate a Monza nel 1995 ad un soggetto in passato esponente di Avanguardia Nazionale. Si tratta, tra le altre, di una pistola Beretta 765 e quattro silenziatori artigianali. Nella richiesta si fa riferimento anche ad una dichiarazione che l’estremista di destra Vincenzo Vinciguerra fece nel 1992 allora giudice istruttore Guido Salvini. Vinciguerra sosteneva di aver sentito un dialogo in carcere tra due militanti di estrema destra in cui si affermava che l’uomo, poi arrestato tre anni dopo a Monza, aveva in custodia la pistola usata per uccidere il giornalista.
“C’è un appiglio e mi aggrappo a tutto quanto per arrivare alla verità. Non mi arrendo”, ha dichiarato questa mattina Rosita Pecorelli lasciando gli uffici della Procura di Roma dove ha depositato l’istanza per la riapertura dell’indagine sull’omicidio.
“Ho combattuto 40 anni per sapere la verità sull’omicidio di mio fratello.Mio fratello era tutto per me – ha aggiunto la donna – mi ha fatto da padre, fratello e amico. Oggi ci sono elementi per cui pensiamo ci sia qualcosa di nuovo che possa aiutare a raggiungere la verità”.
Dal delitto alla sentenza di assoluzione. Una lunga vicenda giudiziaria senza alcun colpevole
Carmine, Mino per gli amici, Pecorelli fu ucciso a Roma il 20 marzo del 1979 con quattro colpi di pistola calibro 7.65 poco dopo avere lasciato la redazione del settimanale Op, Osservatorio politico. Viene subito aperta un’inchiesta a carico di ignoti affidata al magistrato di turno, dottor Mauro, e a Domenico Sica. Le indagini portano al coinvolgimento di personaggi come Massimo Carminati, Licio Gelli, Antonio Viezzer, Cristiano e Valerio Fioravanti, ma tutti vengono prosciolti per non avere commesso il fatto il 15 novembre 1991. Il 6 aprile del ’93 il pentito di Cosa Nostra Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, accusa Giulio Andreotti, che il 14 aprile viene iscritto nel registro delle notizie di reato. In base alle dichiarazioni di Buscetta il pm Giovanni Salvi indaga anche Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò. Nell’agosto ’93 le dichiarazioni dei pentiti della banda della Magliana, in particolare quelle di Vittorio Carnevale, coinvolgono l’allora pm romano Claudio Vitalone. Il 17 dicembre 1993 l’inchiesta arriva quindi alla procura di Perugia, competente ad indagare sui magistrati romani. In base alle dichiarazioni dei pentiti della Magliana Fabiola Moretti e Antonio Mancini il 7 gennaio 1995 i pm umbri indagano Michelangelo La Barbera e chiedono la riapertura dell’inchiesta su Carminati. Il 20 luglio 1995 viene depositata la richiesta di rinvio a giudizio, con l’ accusa di omicidio, per Andreotti, Vitalone, Badalamenti, Calò, La Barbera e Carminati, che ottiene di essere processato con il rito immediato. Il 5 novembre ’95 il gip Sergio Materia rinvia a giudizio gli altri cinque. Il 6 giugno ’96 comincia di fatto il processo di primo grado. Il 30 aprile del 1999 la procura chiede la condanna dei sei imputati all’ ergastolo. Il 24 settembre del 1999 la Corte d’assise assolve tutti “per non avere commesso il fatto” al termine di 102 ore di camera di consiglio, dopo 128 udienze e la deposizione di 231 testimoni. Il 2 dicembre del 2000 la procura di Perugia presenta appello contro la sentenza. Il 13 maggio del 2002 prende il via il processo d’appello. Il 19 settembre la procura generale chiede la condanna degli imputati a 24 anni di reclusione. Il 17 novembre la Corte d’assise d’appello riforma parzialmente la sentenza di primo grado: Andreotti e Badalamenti sono condannati a 24 anni di reclusione come mandanti del delitto. Confermate le assoluzioni per gli altri imputati. Sentenza annullata il 30 ottobre del 2003 dalle Sezioni unite della Cassazione che assolvono definitivamente Andreotti e Badalamenti e confermano il proscioglimento di tutti gli altri imputati. Ora la nuova istanza per riaprire l’indagine sull’omicidio Pecorelli.
A.B.
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