“Il capitalismo di relazione è morto”. Insiste parecchio su questo punto il premier Matteo Renzi, parlando agli investitori nella sede della Borsa di Milano. Un parterre d’eccezione per Renzi, che ha trovato ad attenderlo a piazza Affari, tra gli altri, i principali banchieri italiani, il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, il presidente delle Generali, Gabriele Galateri, Lapo Elkann, Carlo De Benedetti, e l’ad di Mondadori, Ernesto Mauri. Di fronte a questa platea, il capo del Governo ha sostenuto con fermezza l’esigenza di andare oltre un sistema più legato alle relazioni che “alla trasparenza”.
“Io sono particolarmente ottimista per i prossimi vent’anni in Italia” ha affermato, ribadendo la bontà del percorso impostato e compiuto fino a questo momento: “stiamo rimettendo il paese nella carreggiata della normalità della pubblica amministrazione e istituzionale”. L’Italicum, in questo senso introduce “un grande elemento di chiarezza: per cinque anni sarà chiaro il governo, chi vince. Ci sarà un sistema nel quale il nostro Paese potrà finalmente essere punto di riferimento per stabilità politica, che è precondizione per l’innovazione economica”.
Per quanto riguarda invece il jobs act, il premier ha tenuto a sottolineare che si procederà nella sua attuazione andando oltre “vincoli ideologici ormai privi di concretizzazione e di logica”.
È invece “complicato, burocratico e non è orientato pro business” il sistema fiscale italiano, anzi, non sarebbe “nemmeno in grado di andare a prendere chi compie in modo strutturato reati o atti elusivi”. I primi atti approvati in materia di tasse rappresentano per Renzi “un passo avanti non banale”, ma la vera esigenza rimane quella di “un cambio di mentalità e la creazione di un sistema semplice in cui dialoghino le banche dati”.
Ovviamente, però, l’accento è stato posto sul sistema bancario italiano e sul futuro dei tessuti produttivi del paese. Renzi ha chiarito che nelle prossime settimane “i passaggi sulle sofferenze e sugli elementi tesi a mettere il nostro sistema bancario nelle stesse condizioni degli altri Paesi troveranno concretizzazione” tanto da portare il premier a negoziare “con la Commissione Ue alcune ipotesi di intervento” per la realizzazione di una bad bank.
Si tratta di una “priorità assoluta e fa il paio con l’operazione sulle banche popolari” e il passaggio successivo sarà quello di portare “il sistema regolatorio delle banche, soprattutto su crediti e sofferenze” a un livello “sempre più vicino alla legislazione europea”. Non solo. Il premier ha delineato i prossimi punti in agenda ribadendo che “è un’assoluta priorità del governo la modifica del sistema delle banche”.
Si pensa dunque a interventi strutturali sul sistema del credito, che potrebbero così sostenere al meglio un tessuto imprenditoriale che è “vitale, forte e ricco di energia”, tanto da portare “molte aziende ad essere quotate in borsa” nonostante la congiuntura.
Tuttavia, l’auspicio di Renzi è quello di vedere la fine di quel sistema di relazione che ha prodotto “anche effetti negativi” a favore di una maggiore “apertura e trasparenza” perché “il sistema in cui giornali, banche, fondazioni e partiti politici hanno pensato di andare avanti tutti insieme discutendo tra loro è morto”.
Anche secondo il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, i tempi sono maturi per vedere la fine del capitalismo di relazione. “Mi sembra che sia una necessità evidente ed evidentemente i tempi sono maturi”. “Viviamo in un’epoca di trasformazione del mercato finanziario – ha spiegato il banchiere – con il capitalismo di relazione che e’ un retaggio del passato. E’ una storia passata e finita”.
Il tema banche, e più in generale quello finanziario, resta al centro dell’attenzione politica. Un argomento, questo, che non si può archiviare per un istante nemmeno dopo la presentazione del Def, che a questo punto individua delle linee guida entro le quali muoversi. Sicuramente, bisognerà cercare di comprendere come e in che misura il governo vorrà mettere mano al sistema bancario italiano, così come è tutto da vedere quale sarà l’exit strategy che il Consiglio dei Ministri vorrà seguire dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla riforma del sistema previdenziale introdotto con la legge Fornero. Una decisione, quella della Consulta, che rischia di causare uno sbilanciamento nei conti dello Stato fino a 10 miliardi di euro, almeno stando alle stime al rialzo diffuse nei giorni scorsi dalla Cgil. Anche però si trattasse di una ipotesi più rosea, i tecnici di Renzi dovrebbero affrontare un ‘buco’ da 5 o 6 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe rimettere in discussione proprio la politica messa in cantiere con il Def, sebbene a più riprese Palazzo Chigi abbia ripetuto che si debbano fare prima delle valutazioni sull’impatto sui conti pubblici.
Chiede la riscrittura del Def il presidente dei deputati Fi, Renato Brunetta, scondo il quale “il caro Renzi dovrà spiegare agli italiani che il gioco di prestigio sull’inesistente bonus da 1,6 miliardi”, mentre il responsabile economico del Pd Filippo Taddei chiarisce all’AdnKronos che “qualunque sarà la scelta del governo sarà
ispirata a due principi: tenuta dei conti ed equità”. Spegne, invece, le ipotesi di vedere impugnata la sentenza della corte Costituzionale il presidente emerito Giovanni Maria Flick, che ha chiarito come non ci sia “alcun giudice di fronte al quale si possano impugnare le sentenze della Consulta. Tutte le soluzioni sono ipotizzabili, ma tecnicamente le sentenze della Consulta non si possono impugnare”. Nemmeno alla corte europea. Il rischio, dunque, che si apra un momento di approfondita riflessione – ulteriore – sulla fragile bilancia economica italiana è più che concreto tanto da far correre subito voci di una possibile patrimoniale da applicare per coprire il buco. Voci però smentite sia dal ministro del lavoro Poletti, che da quello dello Sviluppo Economico, Federica Guidi che ha anche spiegato che “Il governo farà ‘ad horas’ le riflessioni su cosa fare e come fare”.
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