Ma perchè Luca Gramazio per combinare un incontro con Alfio Marchini sentiva il bisogno dell’intermediazione di Massimo Carminati? E’ uno dei tanti misteri politici dell’inchiesta su questa benedetta “terra di mezzo” in cui sembrano dibattersi quasi tutti i rappresentanti della classe politico imprenditoriale romana finiti nelle sabbie mobili della maxinchiesta della Procura guidata da Giuseppe Pignatone.
Il sindaco Ignazio Marino può per ora tirare un sospiro di sollievo in attesa che passi la nottata dell’inchiesta “mafia capitale” e possibilmente che il tutto vada in cavalleria senza passare per lo scioglimento del Comune. E questo a dispetto della non brillante figura di pochi giorni orsono davanti alla Commissione antimafia. Organismo che, nell’occasione, ha regalato alla presidentessa Rosy Bindi una figura da gigante a cospetto delle minimizzazioni del primo cittadino di Roma durante la citata audizione. Infatti in materia di onestà intellettuale la Bindi ha potuto dare una lezione indimenticabile allo stesso Marino che si presentava come a capo di un’amministrazione senza macchia e senza paura. Cosa ritenuta “non vera” dai suoi stessi compagni di partito all’Antimafia. A cominciare dalla Bindi.
E d’altronde nei giorni scorsi, sempre davanti all’antimafia, ci avevano pensato il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Michele Prestipino a dare il quadro giusto della situazione di Roma , del suo comune e della sua peculiarissima organizzzione para mafiosa. Ma anche un profano o un non addetto ai lavori capirebbero che lo scioglimento del comune capitolino è ancor un’opzione sul tavolo se solo leggessero quelle quattro o cinque pagine della mega informativa dei Ros che costituiscono il capitolo chiamato “L’intermediazione di Carminati Massimo per l’incontro con Alfio Marchini”. Incontro e intermediazione richiesti da Luca Gramazio, il figlio, consigliere comunale di Forza Italia, del noto e storico militante missino Domenico ( ai tempi detto “er pinguino”e presente anche lui all’incontro con l’ex Nar) per incontrare “nientepopodimeno” che Alfio Marchini. Il Ridge dell’ex “beautiful” della politica romana. L’outsider alle ultime elezioni in cui ha vinto Marino. Outsider solo come modo di dire visto che si tratta pur sempre di uno dei maggiori costruttori edili di Roma, palazzinaro figlio di palazzinari storici e storico grande elettore della sinistra di governo capitolino sin dai tempi di sindaci di tutt’altra tempra come Ugo Vetere.
Quello che fa impressione nel leggere le intercettazioni riportate tra le pagine 1366 e 1373 delle 1700 e passa della suddetta informativa (vera e propria miniera di aneddoti di malcostume politico al di là della rilevanza penale effettiva dei singoli episodi narrati) non è tanto il linguaggio da trivio delle telefonate che intercorrono tra Gramazio junior e il suo sottopancia Fabrizio Testa e tra questi e Carminati e infine sempre tra il Testa e Erasmo Cinque, a sua volta sottopancia di Marchini, ma la constatazione che due consiglieri di opposizione che teoricamente si incrociano al comune quasi tutti i giorni, sentano il bisogno o acconsentano ad avvalersi della mediazione politico criminale di uno come Carminati per incontrarsi e parlare di strategie politiche. Se non è una prova di “infiltrazione mafiosa” questa ci si domanda quale possa essere il concetto ontologico di questa locuzione.
Carminati e Buzzi, sembra di capire leggendo verbali e interpretando i fatti, non erano solo un terminale di tangenti e affarismo illecito ma anche veri e propri soggetti politici da utilizzare per i contatti ravvicinati del terzo tipo della politica romana. Una vera e propria infiltrazione politica ed esistenziale, quasi culturale, prima ancora che di interessi economici più o meno leciti. Fa male Gramazio junior ad avvalersi della consulenza di Carminati per interposta persona per contattare Marchini e fa male Marchini ad accettare di incontrare un politico che lo contatta in quella maniera. Non parliamo poi dei rispettivi “sottopanza” che si prestano al tutto come se fosse un’abitudine radicata da anni o da decenni nel sottobosco capitolino. E forse era veramente così che andavano le cose. Ecco quindi perchè, alla lunga, il problema se sciogliere o meno Roma per mafia potrà ripresentarsi in maniera anche più dirompente. A dispetto di chi, a partire dal sindaco Marino, vorrebbe che della cosa non si parlasse più.
Dimitri Buffa
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