La tanto temuta spallata non c’è stata. Stefano Bonaccini, ovvero il candidato governatore del centrosinistra in Emilia Romagna, ha vinto il confronto con Lucia Bergonzoni contenendo egregiamente l’urto dell’ondata salviniana che, nelle ultime settimane di campagna elettorale, sembrava veramente inarrestabile. E, a fronte di un Pd in ottimo stato di salute e di un Matteo Salvini ed un centrodestra sconfitti per aver voluto dare un valore strategico nazionale alla campagna emiliano romagnola, le elezioni di ieri gettano sul tavolo della politica e di Palazzo Chigi, una tigre morta contrassegnata da Cinque stelle destinate con ogni probabilità a non brillare più. Restano le tante, tantissime incognite che il voto si porta dietro.
Unico aspetto indiscutibilmente positivo, il coinvolgimento emotivo degli elettori chiamati ad un maggiore impegno da tutti e due gli schieramenti, con quello di centrosinistra che ha militarizzato la mobilitazione antisovranista al grido di “i barbari alle porte” e l’altro, quello del centrodestra impegnato ad inquadrare persone e consensi sui temi cari a Lega e Fratelli d’Italia: sicurezza, ordine pubblico, difesa della famiglia.
Il voto di ieri, al di là delle percentuali e dei seggi, va letto però con molta attenzione: insieme ai numeri infatti, c’è la cabala delle conseguenze che l’esito della consultazione si porta dietro. Cominciamo dagli sconfitti, in particolare dalla Lega che ora deve affrontare un dopo voto dorato visto che con il Pd divide, grazie ad un risultato eccellente, la guida bipolare della regione e del Paese. Prima conseguenza importante: la radicalizzazione dello scontro che ha avuto come primo effetto un ritorno al bipolarismo, favorito dal crollo dei grillini e dalla scomparsa di Forza Italia tenuta in piedi fittiziamente solo dalla vittoria della Santelli in Calabria.
Secondo effetto importante. Il voto ha premiato i gladiatori, ovvero quei politici che in questa consultazione ci hanno messo, oltre alla faccia, anche l’impegno massacrante del porta a e delle citofonate, amicali o perfide che fossero. Politica vecchia maniera. Una scelta che gli elettori hanno apprezzato recandosi numerosi alle urne e sancendo la sconfitta definitiva di chi preferiva stare alla finestra.
Via dunque i cespugli d’arredo e i timidi. A sinistra in particolare. Basta vedere i consensi forti e massicci verso chi ha combattuto per vincere e cambiare le cose o si è battuto per difendere la status quo: 32% alla Lega ed un 34% a Zingaretti orfano di Renzi, scomparso dalla scena, e i cui voti sono confluiti nella vecchia casa madre, “gratis et amore dei”. Un travaso rigeneratore cui ha contribuito generosamente anche Grillo ed il movimento delle sardine, un soggetto politico che adesso sarà costretto a connotarsi in maniera credibile per evitare l’ effetto meteora.
Ultima considerazione. riguarda l’esecutivo. E’ evidente che la fortuna continua ad assistere il premier Giuseppe Conte che esce ringalluzzito da un voto che premia la sua scelta di fare fronte unico con il Pd. Con una sola grande incognita però: le nuove pretese del Nazareno che tramite il segretario Zingaretti ha già fatto sapere che nell’ambito dell’esecutivo” si è modificato l’asse politico”. Ovvero che il Pd, con la richiesta di maggiore spazio e di maggior potere nell’esecutivo, intende mettere in un angolo e sotto tutela i Cinquestelle che fino a quando non riuniranno i loro stati generali a marzo, non saranno nella condizione di controbattere nulla ma di subire solo le iniziative le richieste dell’alleato.
Brutale ed azzardata la mossa di Zingaretti? Presto per dirlo. Ma i presupposti di uno scontro politico, tutt’altro che tranquillo, all’interno della attuale maggioranza di governo, ci sono tutti.
Enzo Cirillo
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