Tutti considerano che produrre plastica sia dannoso, ma Ciotti come esempio calcola che “con lo stesso numero di bottiglie da riciclare si riempie un camion di plastica contro 32 tir di vetro” e “con un conto energia completamente diverso” se si considerano anche le emissioni dei veicoli e le spese di logistica. Sul fatto che poi la plastica sia difficilmente riciclabile, Ciotti sostiene che “non esistono prodotti compostabili e biodegradabili a temperatura ambiente” e che “in ogni caso deve essere fatta una raccolta differenziata”. E proprio su quest’ultimo aspetto, osserva: “Non mi pare che in manovra ci sia questa spinta” da parte del governo. Dunque? L’industriale osserva che quando a Milano si fa la differenziata, il sacco giallo arriva nei centri di selezione dove accadono due operazioni fondamentali: “Il rifiuto viene pesato, valutiamo la qualità, in base al peso il Comune viene ricompensato per 300 euro a tonnellata”. Secondo Ciotti, nel 2018 il ristoro agli enti locali è stato di 350 milioni. “Più il Comune è virtuoso, più questa media si alza a 320-330 a tonnellata. Non mi pare che così incentiviamo i Comuni” chiosa. Sulla stessa pagina, colonne a fianco, si esprime anche Ermete Realacci, storico leader ambientalista, esponente di Legambiente e oggi presidente di Symbola, fondazione di ricerca che unisce oltre 100 imprese e istituzioni per le quali sviluppo e innovazione si basano su green economy, cultura e coesione sociale. Realacci sostiene che sulla plastic tax “la direzione indicata è giusta, ma il metodo è sbagliato”, tanto che si augura che le prossime settimane siano utili “a modificare al meglio questa misura”. Nel caso del metodo usato dal governo, a Realacci è sembrato tutto molto “estemporaneo” ed è stata formulata una misura “senza prima confrontarsi con i soggetti interessati e competenti”. “Per fare il bene bisogna anche farlo bene”, chiosa citando Diderot. “Con la leva fiscale si recuperano risorse” Secondo Realacci se si vuole orientare il mercato a favore dell’ambiente, “la leva fiscale è uno strumento per recuperare risorse” dice, che però vanno anche “rinvestite per incentivare chi opera nella direzione giusta”. Ma i cambiamenti “devono essere favoriti non forzati”, aggiunge l’esponente ambientalista, per il quale il governo avrebbe dovuto agire con gradualità dando la possibilità alle aziende “di avere modo di adeguarsi”. A tal proposito Realacci porta un esempio: “Dal 1° gennaio 2020 saremo il primo Paese al mondo a vietare l’uso di microplastiche nei cosmetici, quell’additivo che serve a rendere più fluidi prodotti come le creme e che è molto inquinante anche per il mare. Ma questo provvedimento è figlio della Finanziaria 2017…” dice a dimostrazione della gradualità con la quale è entrato in vigore. La tassa serve per disincentivare l’uso La Stampa sente invece l’opinione della senatrice Loredana De Petris, di LeU, forza di maggioranza con Pd, 5s e Iv, secondo la quale la tassa sulla plastica “non solo è necessaria a far quadrare i conti, ma è fondamentale per trasformare in politiche reali le dichiarazioni sulla svolta verde di questo governo e della maggioranza” medesima. In sostanza, si tratta di una misura che “attraverso la leva fiscale serve a disincentivare l’utilizzo della plastica” e allo stesso tempo “ad accelerare la transizione che ci porterà ad abbandonare la plastica monouso e, attraverso una serie di incentivi, serve a riconvertire la produzione” sostiene De Petris. Quanto al fatto che molti si lamentino perché viene introdotta l’ennesima tassa, la senatrice di LeU obietta: “Ma qualcuno si lamenta perché aumentano le tasse sul fumo? No. Le sigarette fanno male ed è giusto tassarle. Idem per le bevande zuccherate .La fiscalità serve a questo: si aumenta il prelievo lì dove si vuole disincentivare e lo si alleggerisce per incentivare. Purtroppo, per ragioni di tempo, non si è riusciti a modulare l’Iva e quindi non si è potuto fare diversamente. Ma adesso che la parola passa al Parlamento è possibile pensare a qualche aggiustamento” si augura”. Poi chiosa: “Io ai vertici di maggioranza c’ero e la manovra è stata chiusa con l’intesa di tutti”, accusando Renzi di cercare “sempre visibilità”. Ronchi boccia la plastic tax E sulle stesse colonne del quotidiano sabaudo, Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente dal 1996 al 2000, boccia invece in tutto e per tutto la plastic tax perché “non si contribuisce minimamente all’attività di riciclo, ma si punta solo ad introiettare denaro. Andando peraltro contro le direttive europee” secondo le quali “si dovrebbe salire dal 43 al 55 per cento di plastica riciclata”. E invece, secondo Ronchi, si tratta di un’impresa “decisamente ardua”, perché “metà del materiale da riciclare è costituito da plastica a più strati che richiede un trattamento complesso con tecnologie più avanzate”. L’alternativa è invece rappresentata, secondo l’ex ministro dell’Ambiente, dalla necessità di “diminuire gli oggetti in plastica-usa-e-getta a favore di quelli multi uso”, ma in ogni caso gli investimenti “devono essere finalizzati alla conversione ecologica non a fare cassa”. E invece? Invece, conclude l’ex ministro, “il miliardo che si ipotizza di acquisire con la plastic tax non è destinato ad attività di riciclo”, pertanto “non risolve il problema sul fronte della salvaguardia ambientale”. Mentre “bisognerebbe destinare fondi allo sviluppo di tecnologie per garantire il riciclo totale della plastica”. Più sviluppo tecnologico, quindi, “altro che incassare nuove tasse” esclama Ronchi.