Il Duce inaugura procedendo tra due ali festanti di cittadini romani il grande viale asfaltato che, a partire dalla inaugurazione dell’E42 avrebbe dovuto collegare Roma al mar Tirreno. Cioè Ostia. Mussolini è raggiante. E’ il 1937 e la sua popolarità è al massimo. Saluta la selva di braccia levate, dall’alto di un’auto scoperta. L’ennesimo trionfo è ovviamente immortalato, anche stavolta, dai bravissimi operatori dell’istituto Luce che si attardano a riprendere tutto ciò che accompagna la visita, persone, apparati di sicurezza, edifici e soprattutto piante. Sì, proprio le piante. Tante, tutte di alto fusto anche se giovani. Sono lecci ma soprattutto pini marittimi, i gloriosi pinus pinea. Piantati nel rispetto della tradizione dell’antica e della nuova Roma imperiale voluta da Mussolini. Pini che un domani sarebbero diventati imponenti, spettacolari. Un arredo arboreo significativo per una strada che già all’epoca, con quattro corsie e strade complanari presentava caratteristiche ultramoderne.
Quegli alberi superarono le vicissitudini della guerra e del dopoguerra. Compreso il sacco edilizio della capitale partorito dalla necessità di nuovi alloggi per i milioni di sfollati che si erano concentrati nella Capitale e dalla vorace cupidigia di amministrazioni guidate da una Dc padrona unica e assoluta di Roma come del Paese. Crescendo, arrivarono così alle soglie dell’anno Duemila, quando sulle amministrazioni comunali che si erano succedute fino a quel momento si abbattesse l’inchiesta di Mafia capitale. Ma incuranti del malaffare, quegli incolpevoli alberi continuarono a crescere.
Alla fine degli anni novanta con una iniziativa che non sfuggì alla stampa, un rapporto taroccato ma sostenuto politicamente da diversi partiti, nell’assegnare l’appalto per il rifacimento dei marciapiedi e del manto stradale, accreditò la tesi che gli alberi di Via Cristoforo Colombo, i maestosi e romantici ombrelloni della strada che doveva collegare Roma al mare, erano in buona parte malati e di conseguenza da abbattere. Solerti funzionari comunali si apprestarono a stilare subito l’atto di morte delle piante e altretttanto solerti operai guidati da tecnici dell’ufficio giardini di Roma si affrettarono a segnare, con una grossa croce fatta con calce bianca i condannati a morte di quella che poi si sarebbe rivelata come una grossolana ed autentica frode.
Le croci segnalate alla fine dell’ ispezione erano 177 ed interessavano il tratto della Cristoforo Colombo che dalle Mura Aureliane arriva al laghetto dell’Eur. Una ecatombe verde. Si trattava di abbattere pini di venticinque trenta metri d’altezza. Un danno ecologico e d’immagine pazzesco per Roma e per le tasche dei suoi cittadini che avrebbero dovuto pagare un’impresa per abbattere e rimpiazzare tutte quelle piante considerate “malate”.
Le piante in verità non erano affatto malate, anzi godevano di ottima salute. Alla notizia seguì un dibattito e piovvero critiche da parte delle associazioni ambientaliste. Se oggi passate per via Cristoforo Colombo quelle piante sono ancora lì, con le loro croci di calce, ancora riconoscibili. Belle, maestose e incredibilmente vigorose malgrado l’inquinamento atmosferico e il dissesto ambientale che le circondano.
Perchè ho voluto ricordare questo episodio? Per una ragione semplice. A Roma la strage di alberi, soprattutto di essenze rare e pregiate non è mai finita. Gli abbattimenti che tutti abbiamo avuto modo di vedere dopo che il maltempo ha flagellato la Capitale è solo un capitolo del disastro ambientale che negli ultimi anni ha registrato accelerazioni impressionanti, senza battute d’arresto. Ieri l’assessore all’ambiente, la grillina Pinuccia Montanari nel fare il punto della situazione sulla strage di alberi e pini seguiti all’ultima nevicata, ha spiegato che sono state tagliate, in tutta Roma 450 piante. Una fetta consistente del pur grande patrimonio arboreo che ammonta a 82 mila piante di alto fusto.
La motivazione è che quelle piante erano malate, danneggiate o arrivate a fine vita. La verità purtroppo è un’altra: quelle piante sono cadute o sono state danneggiate dal maltempo perché da anni non si faceva e non si fa manutenzione, perché non esiste più un servizio giardini degno di questo nome. Perché a Roma, senza che nessuno lo dica apertamente sopravvive ancora la regola del mondo di mezzo ovvero quello della cura Carminati Buzzi e di quelle strutture parallele e colluse con funzionari pubblici che ancora fanno bello e cattivo tempo. Non c’è dubbio che molto sia stato fatto e molto probabilmente si sta facendo per il ripristino della legalità, ma per carità non parliamo di alberi “malati”. Ricordiamoci di quelle 177 croci a viale Cristoforo Colombo.
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