Giulio Regeni sarebbe stato ucciso da una banda di criminali comuni. Lo hanno annunciato stamattina le autorità del Cairo, riprendendo indiscrezioni pubblicate ieri da giornali vicini al regime di Abdul Fattah al-Sisi. Ma la Farnesina non è convinta che il caso sia chiuso, e crede si tratti solo dell’ennesimo depistaggio.
Tutto è iniziato ieri, quando tre quotidiani – al-Tahrir, al-Mogaz e al-Watan – hanno pubblicato le foto di due giovani crivellati di proiettili in un minibus bianco. Sarebbero due dei cinque banditi “specializzati nel rapimento di stranieri” uccisi dalle forze speciali in una sparatoria alla periferia del Cairo. I commentatori sui social media, ma anche i giornali meno organici al regime, hanno accolto la tesi che li voleva legati all’omicidio di Regeni con un misto di incredulità, critica e derisione. Ma nella notte le autorità si sono appropriate della tesi.
Stamattina, poi, il ministero dell’Informazione egiziano ha pubblicato foto di quelli che affermano essere gli effetti personali di Regeni, dei quali non si avevano notizie dal 25 gennaio, data della scomparsa del ricercatore italiano. Un portadocumenti marrone conteneva il suo passaporto italiano, la carta di credito e i tesserini dell’Università Americana del Cairo e di quella di Cambridge. I documenti erano in una borsa rossa con stampata la bandiera italiana. Al suo interno c’erano anche due telefoni cellulari, un orologio da donna, un portafogli femminile con dentro cinquemila sterline egiziane (poco più di 500 euro) e “un pezzetto di materiale marrone che sembra hashish”. Secondo le autorità, la borsa sarebbe stata ritrovata a Qalyubiya, nel delta del Nilo, a nord della capitale, in casa della sorella del capobanda. La moglie dell’uomo avrebbe confermato che la borsa apparteneva a lui.
La banda, secondo le informazioni diffuse dal governo, era solita rapire e derubare stranieri usando armi e tesserini falsi della polizia. Ma i dettagli pubblicati si contraddicono, a cominciare dal numero dei crimini commessi. Il ministero dell’Interno ha parlato di nove rapine messe a segno, di cui solo tre ai danni di stranieri: un altro italiano, un nigeriano e un portoghese. Ma le notizie di stranieri rapiti non trovano riscontro nella stampa del Cairo. E poi resta da spiegare perché mai a nessun altro sia stato mai torto un capello, mentre Regeni è stato ritrovato morto con segni inequivocabili di torture prolungate.
“Il caso non è affatto chiuso”, dichiarano gli inquirenti italiani. “Non c’è alcun elemento certo che confermi che siano stati loro”. Difficile credere che i banditi abbiano sottoposto Regeni a quelle sevizie, se tutto quello che cercavano erano i suoi soldi. E la spiegazione ufficiale delle autorità – cioè che il ricercatore abbia provato a resistere alla rapina – non sembra spiegare alcunché. Ancor più difficile credere che i banditi abbiano conservato i suoi documenti per due mesi, rischiando di finire nell’occhio del ciclone, quando disfarsene sarebbe stato infinite volte più semplice e più conveniente. È decisamente più verosimile che sia stato qualcun altro a tenerli nascosti per tutto questo tempo, per poi farli saltare fuori al momento giusto. Infine, è difficilissimo credere che nel conflitto a fuoco con i corpi speciali siano morti tutti i banditi che avrebbero potuto raccontare la loro versione dei fatti.
“Dobbiamo continuare a scavare seguendo le nostre piste per trovare certe e fugare i dubbi”, dicono gli inquirenti di casa nostra. Nonostante i due mesi passati dalla sparizione di Regeni, nonostante la cordialità esibita alla stampa dagli inquirenti egiziani e i ringraziamenti di rito agli italiani “per la collaborazione”, nonostante l’invito al Cairo del procuratore Giuseppe Pignatone, gli egiziani non hanno ancora risposto alle due richieste che gli italiani considerano fondamentali: le registrazioni delle telecamere di sicurezza installate per strada, nella zona dove abitava Regeni, e nelle stazioni della metropolitana da dove sarebbe dovuto entrare e uscire quella sera; e i tabulati telefonici con l’elenco delle utenze agganciate alle celle dei luoghi dov’è sparito, il 25 gennaio, e dov’è stato ritrovato il suo corpo il 3 febbraio.
Palazzo Chigi ha dichiarato di seguire da vicino gli sviluppi della vicenda. Il governo italiano continua ad essere determinato, spiegano le fonti, a fare luce totale sulla morte del ricercatore.
“La nuova ‘verità’ confezionata dall’Egitto – si legge nell’ultimo tweet del presidente del Copasir, Giacomo Stucchi – dimostra assoluta mancanza di rispetto per l’Italia e offende ulteriormente la memoria di Regeni”.
F.M.R.
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