Alla fine ce l’ha fatta. Secondo i suoi tempi e, sembra di capire, anche secondo un proprio ruolino di marcia per quanto riguarda incarichi, nomi e strategie di governo. Il Matteo Renzi uno, ovvero il primo esecutivo che, nelle intenzioni del suo artefice dovrà garantire stabilità e riforme, concretezza e pianificazione puntando su risposte rapide e convincenti in materia di fisco e lavoro, nasce a dispetto di tutto: senza padri putativi e con un forte reale ridimensionamento del ruolo del Capo dello Stato Napolitano, ma soprattutto con le idee chiare sugli uomini che dovranno affiancarlo per raddrizzare guasti, conti e prospettive di un Paese da troppo tempo abbandonato al proprio destino.
Nasce così, con ventiquattr’ore di anticipo sulle previsioni, il governo a guida Pd, formato da tanti giovani di cui molti under quaranta e soprattutto da tante donne. Il nuovo esecutivo, che perde un elemento di spicco come Emma Bonino agli esteri, sostituita da Federica Mogherini una fedelissima dell’ex sindaco di Firenze, sarà sostenuto da una parte del centrodestra e dei moderati di Scelta civica che ora dovrà far dimenticare la triste esperienza dell’esecutivo Monti e soprattutto quella scialbissima “delle larghe intese” di Enrico Letta. Si chiude definitivamente con le due esperienze che hanno protratto, senza risultati concreti per più di due anni una situazione drammatica e senza vie d’uscita che necessitava di ben altro che presidenti attendisti e rinunciatari, per molti aspetti succubi di partiti, corporazioni e poteri forti .
Il primo input importante viene dalla squadra di governo rinnovata totalmente se si fa eccezione dei ministri del Nuovo centro destra con la conferma di Angelino Alfano agli Interni ma non alla vicepresidenza del Consiglio, Maurizio Lupi alle infrastrutture e Beatrice Lorenzin alla sanità. Ma è sul nodo del dicastero dell’economia che Renzi porta a casa il risultato più importante accreditando il presidente dell’Istat Pier Carlo Padoan già vicesegretario generale Ocse. Una figura di tutto rispetto che subentra ad un uomo discusso e decisamente troppo schierato a fianco del sistema bancario come Fabrizio Saccomanni. A completare la squadra degli “economici” ovvero la sala di regia più importante di Palazzo Chigi, Giuliano Poletti già presidente della Lega coop, che passa al comando del dicastero del Lavoro e Welfare.
Novità importanti ma discutibili alla giustizia dove al posto della Cancellieri amica di troppa gente con guai penali non è arrivato Nicola Gratteri un magistrato calabrese della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, da sempre in prima linea contro la delinquenza organizzata. A lui , Renzi in quel delicato incarico, ha preferito Andrea Orlando, già ministro dell’Ambiente nel primo governo Letta. Ma l’umiliazione più cocente ha riguardato la nomenclatura del partito dove sia in sede di trattativa che in fase decisionale non sono mai state prese in considerazione da Renzi candidature di spicco, riconducibili a correnti o gruppi organizzati del partito.
Unica ma “perfida” eccezione, la nomina di Dario Franceschini già segretario nazionale del Pd “sistemato”, in quota ai popolari, al dicastero della cultura. Il nuovo premier evidentemente non gli ha perdonato la trattativa in extremis con il presidente dimissionario Letta quando erano in corso già le trattative per il “cambio di passo” richiesto e perseguito con terrificante velocità dal neo premier più che mai intenzionato a chiudere la partita per la guida di Palazzo Chigi, conclusasi oggi. Tra molte luci e qualche ombra.
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