Beppe Grillo e Matteo Renzi
Duello a colpi di tweet sulle riforme tra il presidente del Consiglio e il leader del Movimento Cinque Stelle. “Renzi è stato sfiduciato da Renzi. Il presidente del Consiglio aveva dichiarato: “Il primo voto sulla riforma del Senato entro il 10 giugno, oppure lascio e vado a casa”. Visto che la controriforma di palazzo Madama non è stata neppure avviata, Renzi deve fare subito le valigie”.
Lanciando l’hastag “#Renzie dimettiti”, ieri Beppe Grillo ha invitato il premier Matteo Renzi a lasciare palazzo Chigi, come promesso con tanto di slide quando presentò a palazzo Chigi il cronoprogramma delle riforme del suo governo.
L’ M5S, viene ricordato sul blog di Grillo, ha proposto un pacchetto di riforme sul conflitto di interessi, sulla corruzione, sulla legge elettorale “scritta dai cittadini, sui referendum senza quorum e sulle istituzioni pulite”. E “queste – è scritto ancora- sono le vere riforme da attuare per abbattere il sistema marcio che sta saccheggiando il paese e restituire efficienza alla politica, rimettendo al centro gli interessi dei cittadini. Noi siamo pronti a votarle subito, senza rinvii e giri di parole. E Renzi, dopo 100 giorni di Governo, è pronto – è la conclusione del post- o ha esaurito le slide?”Altro che golpe, è Beppe Grillo ad essere vittima di un “colpo di sole”. Lo scrive su twitter il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Riforme: dice Grillo che il nostro è un colpo di Stato. Caro Beppe: si dice sole. Il tuo è un colpo di sole! No alibi”.
L’attacco di Grillo è duro. Sul suo blog, in un post ititolato “Aridatece er puzzone”, con tanto di fotyo di Mussolini, scrive: “Un Parlamento votato con una legge incostituzionale, un presidente della Repubblica che nomina come e peggio di un monarca tre presidenti del Consiglio senza passare dalle elezioni, un patto per cambiare la Costituzione di cui nessuno sa un beneamato cazzo fatto con un pregiudicato. Ora si vuole eliminare il Senato elettivo inserendovi i gerarchetti locali dei partiti e una Camera di nominati. Questo si chiama colpo di Stato. Mussolini ebbe più pudore. Non lo chiamò ‘riforme'”.
Ma in colpevole di tutto per Grillo rimane il Capo dello Stato: “Il regista di questo scempio – scrive – è Napolitano che dovrebbe almeno per pudore istituzionale dimettersi subito e con il quale le forze democratiche non dovrebbero avere più alcun rapporto. Il M5S non terrà d’ora in poi alcun contatto con un uomo che ha abdicato al suo ruolo di garante della Costituzione.
Si spera che anche altre forze politiche si associno e lo isolino prima che sia troppo tardi, prima del buio a mezzogiorno. La via d’uscita da questa situazione è rappresentata da nuove elezioni, la legge c’è. E’ quella emendata dalla corte costituzionale, con le preferenze e senza un abnorme premio di maggioranza. Il M5S non ha paura di tornare alle urne per rilegittimare il parlamento, anche domani se necessario. La minaccia di Renzie di nuove elezioni è una pistola scarica e lui lo sa”.
Intanto sulle riforme scatta la ‘tagliola’ e i gruppi di minoranza salgono al Colle. In pratica, la maggioranza ottiene il contingentamento dei tempi sulle riforme in Senato, dopo la preoccupazione espressa mercoledì sera dal Presidente Napolitano al presidente del Senato Grasso. Le riforme saranno dunque votate entro l’8 agosto e le opposizioni insorgono e decidono una azione eclatante salendo insieme al Quirinale per protestare con il Capo dello Stato. La minoranza M5s, Lega e Sel esprime con questo atto tutti i suoi mal di pancia anti-riforme targate Renzi inaugurando una nuova strategia, passando da un’ostruzionismo rigido in Aula ad un confronto sul merito, che lambisce anche la piazza e chiama in causa direttamente il Colle per “strappare” le modifiche al governo. Il quale però non intende recedere dal suo “principio non negoziabile” e cioè un Senato che rappresenti le Regioni e non sia più un organismo politico eletto dai cittadini.
Giornata impegnativa dunque anche per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che si fa garante, e controllore, del proseguimento della legislatura fino al compimento delle riforme.
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