Oxford ‘punisce’ la leader birmana Aung San Suu Kyi e le revoca un riconoscimento concesso 20 anni fa. L’accusa che le viene rivolta è di aver assistito senza far nulla alla repressione scatenata dai militari nel suo Paese contro la minoranza musulmana dei Rohingya.
La “Freedom of the City” era stata assegnata ad Aung nel 1997: si tratta della più alta onorificenza a disposizione del Municipio della storica città universitaria inglese. La revoca rappresenta un caso più unico che raro, ma è stata approvata ieri sera all’unanimità dal consiglio comunale. «Nel ’97 – si legge nella motivazione – Aung San Suu Kyi incarnava i valori di tolleranza e internazionalismo espressi da Oxford. Oggi abbiamo preso la decisione senza precedenti di ritirarle la più grande distinzione concessa da questa città a causa della sua inazione di fronte all’oppressione della minoranza Rohingya». L’accaduto coincide con la visita del Papa nello Stato del sud-est asiatico: visita che sollecita l’attenzione anche di media britannici come SkyNews, che oggi mostra le immagini di un campo di prigionia dove «sono detenuti nella paura centinaia di Rohingya». “Lager”, commenta la tv, che di certo «non sarà mostrato al Papa» dalle autorità locali.
Per il Pontefice il primo vero evento ufficiale della visita del Papa in Myanmar è stato proprio l’incontro con la leader democratica Aung San Suu Kyi, prima in privato e poi pubblicamente. Un momento delicato viste le gravi tensioni degli ultimi mesi con la persecuzione da parte del governo per la minoranza musulmana, su cui ha taciuto anche Aung e per questo criticata da larghe fasce dell’opinione pubblica mondiale e addirittura censurata da Oxford: il Papa non pronuncia la parola “rohingya” per non creare ulteriori tensioni (era stato sollecitato in questo anche dai capi cattolici locali, consapevoli dei rischi che questo avrebbe comportato), ma parla chiaro quando chiede il rispetto per ogni etnia. È questa la parte principale del viaggio, l’incontro con la leader democratica e il discorso alle autorità.
Le parole del premio Nobel sui diritti, e il nome dei rohingya mai pronunciato
La “Signora”, premio Nobel per la pace e figlia di uno dei maggiori esponenti della storica élite militare birmana che ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna, ha detto nel discorso che le sfide che il Myanmar ha di fronte, e tra queste quelle nella regione del Rakhine, per «proteggere i diritti, perseguire la tolleranza, assicurare la sicurezza a tutti» richiedono «forza, pazienza e coraggio», e ha pubblicamente ringraziato il Papa, citato tra i «buoni amici che desiderano soltanto vederci avere successo nel nostro sforzo». La situazione in Rakhine – da cui sono originari i “rohingya”, la minoranza musulmana sottoposta a massacri da parte delle forze dell’ordine del paese, che è a stragrande maggioranza buddista – ha detto Aung San Suu Kyi, ha «eroso fiducia, comprensione, armonia». Anche per questo l’aiuto di questi «buoni amici» è «inestimabile». Aung San Suu Kyii, – che ha stravinto le elezioni del 2015 dopo decenni di dittatura ma alla quale la costituzione ha impedito di assumere l’incarico di presidente perché vedova di un non birmano – ha parlato al Papa nel Palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw, rivolgendo un discorso sulle sfide del presente ricordando che la situazione nel Rakhine ha «più fortemente catturato l’attenzione del mondo».
Il Papa aveva incontrato una prima volta il 4 maggio scorso in occasione dell’allacciamento delle relazioni diplomatiche. Il viaggio di Francesco entra oggi nel vivo del suo viaggio in Myanmar nella capitale Nay Pyi Taw, per una serie di incontri istituzionali, dopo che ieri ha ricevuto (a sorpresa) una delegazione di militari a Yangoon e questa mattina ha incontrato i leader religiosi del paese. Nell’aeroporto della capitale – inaugurata nel 2005 – c’è stata per il Papa l’accoglienza ufficiale, con anche la rassegna della guardia d’onore. A seguire nell’International Convention Center, terrà il suo primo discorso in Myanmar, rivolgendosi alle autorità civili, al corpo diplomatico e alla società civile. «Le religioni possono svolgere un ruolo significativo nella guarigione delle ferite emotive, spirituali e psicologiche di quanti hanno sofferto negli anni di conflitto», «esse possono aiutare ad estirpare le cause del conflitto, costruire ponti di dialogo, ricercare la giustizia ed essere voce profetica per quanti soffrono» ha detto il Papa. È «segno di speranza», poi, che «i leader religiosi di questo paese si stiano impegnando a lavorare insieme» per i poveri e per i valori autentici. Inoltre per Francesco «il futuro del Myanmar deve essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune» ha aggiunto dopo aver ricordato la Conferenza di pace di Panglong e il ruolo dell’Onu.
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