Un acquedotto che torna alla luce dopo un sonno di duemila anni. È successo pochi giorni fa a Roma, lungo la via Prenestina, proprio a pochi metri dal primo ipermercato Esselunga della Capitale.
Tutto è iniziato con un sopralluogo della Soprintendenza romana in vista dei lavori per il Nuovo Centro Servizi Prenestina, un polo commerciale del quale l’Esselunga è il primo lotto ad aprire i battenti. All’inizio gli archeologi hanno scoperto nove pozzi di due metri per due, foderati di tufo, a distanza di 45 metri l’uno dall’altro.
Quando gli speleologi si sono calati nei pozzi hanno scoperto il condotto principale dell’acquedotto. “Un condotto alto fino a 2,15 metri e largo 90 centimetri”, spiegano gli archeologi Stefano Musco e Federica Zabotti. È scavato in un pianoro di tufo disposto lungo la valle di Centocelle, dove un tempo scorreva un fosso che oggi però non esiste più: ora l’acqua scorre in un sistema di tubature. “Si tratta di un quadrilatero – spiegano gli archeologi – compreso tra le vie Prenestina, Valente, Collatina e Palmiro Togliatti, e noto da sempre con il toponimo di ‘Cappellette’”.
Scendendo nel pozzo più a est di tutti, il più vicino a viale Palmiro Togliatti, gli archeologi hanno ritrovato resti di anfore risalenti ai primi secoli dell’età cristiana. Questo prova che la zona è stata frequentata fino all’epoca tardo antica, quando gli acquedotti lungo la Prenestina caddero in rovina.
Gli speleologi sono riusciti a perlustrare poco più di 50 metri del condotto: “Ha una copertura in conglomerato cementizio gettato su uno strato di quattro-cinque tavole di legno. E l’acqua scorreva, in pendenza da est verso ovest, a una quota di più di 21 metri sotto terra”.
C’è anche un piccolo mistero sull’attribuzione dell’acquedotto ritrovato. Secondo un trattato redatto da Frontino, responsabile delle opere idrauliche ai tempi dell’imperatore Traiano, in questa zona ne passavano solo due: l’Aqua Appia, il primo acquedotto pubblico di Roma, e una diramazione fatta scavare da Augusto per potenziare il primo. Le murature dei pozzi risalgono sì ai tempi di Augusto, ma sembrano costruite su un acquedotto più antico, probabilmente in occasione di un restauro.
Un’altra sezione dell’Aqua Appia è tornata alla luce un paio di settimane fa sotto il Celio, durante gli scavi per la linea C della metropolitana.
L’acquedotto non è l’unica scoperta fatta dagli archeologi nella zona. L’archeologa Floriana Policastro ha rinvenuto praticamente intatta una calcara, una fornace usata per trasformare travertini e marmi di seconda scelta in calce, cuocendo le pietre a temperature altissime. E nel parco del quartiere Prampolini sono stati ritrovati due mausolei del IV secolo dopo Cristo. Gli archeologi hanno introdotto una sonda con una telecamera nella cella foderata di marmi dov’era stata sepolta una ragazza. Non c’è traccia del corredo funebre, razziato chissà quando dai tombaroli, ma al suolo è rimasta la sagoma del corpo della defunta. Un’impronta di colore violaceo: si pensa che la ragazza avesse addosso una veste tinta con la porpora di Tiro, una tintura preziosissima, usata solo dalle famiglie patrizie più ricche e in vista dei loro tempi.
F.M.R.
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