Una Roma in crisi sente il fiato sul collo della Lazio
“Siamo i favoriti per il secondo posto”. Così parlò il dg della Roma, Baldissoni, nell’immediata vigilia di Roma-Samp. Poi, sappiamo come è andata a finire con l’ex curvaiolo della Roma, Ferrero, a festeggiare bardato di blucerchiato. I pomposi proclami evidentemente non portano bene in casa giallorossa e ormai quella che era una crisi strisciante ma ancora mascherata da un’imbattibilità in campionato che si protraeva da quattro mesi e mezzo (dallo 0-2 del S.Paolo) sta assumendo i contorni di una vera caduta libera. Dietro solo il solito incostante (o il suo contrario, dipende dai punti di vista…) Napoli fa fatica ad approfittare del letargo invernale della Roma, ma le altre stanno correndo. La Fiorentina, dopo il brusco stop nell’Olimpico biancoceleste, sorpassa con una rimonta tutto cuore e volontà un Milan vivace ma ancora fragilissimo e con un Inzaghi la cui panchina è appesa ad un filo (sarà decisivo l’esito della sfida al Cagliari del cavallo di ritorno Zeman), la Samp, forte del colpaccio nell’Olimpico versione giallorossa (non accadeva dal 2010 e non fu una partita qualunque, altro sinistro presagio) agguanta i viola al quinto posto, ad una sola lunghezza dai partenopei, a loro volta staccati di soli quattro punti dalla truppa di Garcia. Ma, soprattutto, è la Lazio di Pioli, al suo quinto successo consecutivo (non accadeva dal 2010), a far paura: un solo punticino separa ora le due società capitoline. E la cosa non può non gettare ulteriore benzina sul fuoco di un ambiente, quello romanista, che un affronto del genere mai lo avrebbe immaginato anche solo un mesetto fa. Prospettando scenari tanto idilliaci in casa laziale quanto da incubo in quella dei dirimpettai cittadini. Checchè ne possa dire lo stesso Baldissoni (“Non ci interessa degli altri. Noi pensiamo solo a casa nostra”). e la stessa espulsione del Keita giallorosso, che pure è un giocatore dall’esperienza internazionale infinita, con annessa crisi isterica è lo specchio fedele dello stato d’animo romanista.
Ma la realtà è un’altra. E fotografa un’inedito derby che, verosimilmente, durerà per le rimanenti undici giornate di campionato. Con alla penultima un elettrizzante Lazio-Roma che i biancocelesti vorrebbero giocare già domani se potessero e i cugini evitare come la peste.
A ben guardare, però, la volata-Champions si presenta molto simile ad un’ammucchiata con anche Napoli, Fiorentina e, incredibile dictu, la stessa Samp in piena corsa. Con possibilità diverse, chiaro. Ma tutte in lizza. E se è vero che i blucerchiati hanno una rosa meno qualitativa e una minor abitudine a rincorrere traguardi così ambiziosi, è altrettanto vero che Napoli e Fiorentina (almeno fino a giovedì sera) saranno impegnati su tre fronti. Il Napoli avrebbe i favori di un calendario che vedrà di scena al S. Paolo sia la viola che i genovesi che la Lazio. Ma dovrebbe trovare d’improvviso una quadratura tattica che, sin qui, non si è mai vista. E, vista la composizione della rosa in dote a Benitez, quasi impossibile da trovare.
Ma, tacendo delle altre pretendenti ad un secondo posto impensabile solo qualche tempo addietro, l’argomento caldo è un altro: la crisi della Roma ormai ufficializzata da fischi mai così sonori del proprio pubblico (non i primi: cenni di impazienza si erano avvertiti già dopo le scialbe prove con Empoli e Parma) e il momento magico attraversato dalla Lazio che, se possibile, rende la prima ancor più vistosa.
Dopo la sfilza di pareggi consecutivi (ben sei, con in mezzo anche le eliminazioni patite nelle coppe per mano di Manchester City e Fiorentina) è arrivata anche la capitolazione tra le mura amiche che ha avuto anche l’ulteriore risvolto di rimettere in carreggiata la squadra di Ferrero. Il paradosso è che la Roma, dopo i buoni segnali mostrati a Firenze in Europa League, non ha neppure offerto la sua peggior prestazione di questo disastroso scorcio stagionale. La Roma ha mostrato maggior vivacità, una condizione atletica in leggera crescita e, udite udite, ha anche trovato in ben 9 occasioni (record stagionale) la porta di Viviano. Il gioco, però, no. L’undici di Garcia fa circolare troppo lentamente la palla, non ha sufficiente lucidità nell’ultimo passaggio e tende ad affidarsi eccessivamente ai cross per una punta. Che non c’è. Il che porta ad una riflessione: la gestione di Totti. Che centroboa non è. Troppe le partite giocate dal capitano. Si comprendono (molti lo fanno solo ora) i malumori di Destro, non brillante quest’anno ma titolare di una media realizzativa incredibile solo la scorsa stagione nonchè unica punta centrale in organico. Fino a gennaio. Qui l’altro pasticciaccio brutto di un calciomercato di riparazione che ha portato sulle sponde del Tevere giallorosso lo sfortunato (ma il suo infortunio era cosa nota) Ibarbo e l’impresentabile Doumbia. Non buone mosse da parte di Sabatini. Il tecnico francese, però, ci ha aggiunto il carico di scelte spesso cervellotiche abbinate ad una povertà di schemi evidente. Perchè Totti sarà pure un simbolo, ma 38 anni suonati li avverte anche lui. Il tutto condito da una messe d’infortuni da far invidia a Lourdes (ma il preparatore atletico, se proprio lo si vuole mettere sul banco degli imputati, lo ha voluto proprio Garcia) e all’immagine piuttosto saccente che il tecnico transalpino ha spesso offerto di sè. Il che fa gonfiare il petto ai tifosi giallorossi quando le cose vanno per il verso giusto ma quando i momenti diventano grami non aiuta. Un boomerang.
Sull’altra sponda, invece, la Lazio, toccata quota 49 punti (record dell’era Lotito, a questo punto della stagione: Reja in due occasioni si era fermato a 48, Petkovic a 47), ride di gusto e intravvede traguardi che ad inizio stagione nessuno avrebbe immaginato. Anche se chi sa di calcio aveva sottolineato come questa squadra avesse dei valori assoluti e un organico molto equilibrato tra i vari reparti. L’assenza di impegni internazionali, poi, ha consentito di ammortizzare senza eccessivi traumi anche i numerosi infortuni che hanno colpito con una certa continuità anche la squadra biancoceleste. Ma quando capitan Mauri afferma che “questa è la Lazio più forte in cui io abbia mai giocato”, non dice nulla di iperbolico. Alcune riserve potevano appuntarsi sull’inesperienza ad alto livello di mister Pioli ma l’ex tecnico del Bologna ha dimostrato che quando un professionista è anche una persona intelligente e può contare su un materiale umano di prim’ordine potendoci lavorare con calma per un’intera settimana, nessun traguardo può essergli precluso in partenza. Rimane una piccola-grande lacuna che, periodicamente, riaffiora: la tendenza a rinculare troppo dopo aver raggiunto il vantaggio. Segno che la squadra è forte ma ha ancora non se ne rende pienamente conto. Ma è un difetto che Pioli sta correggendo con successo. Lo si è visto soprattutto nelle ultime uscite. La Lazio è squadra in salute, con un’ottima condizione atletica, gioca il calcio attualmente migliore d’Italia riuscendo ad arrivare alla porta avversaria senza dover alzare il pallone (anche se un pò di incisività in più nel gioco aereo, specie su palla inattiva, non guasterebbe) e non ha su di sè il peso di aspettative e proclami che stanno schiacciando i rivali. Ora può sfoggiare anche l’uomo-copertina: Felipe Anderson. Otto reti, sette assist (e solo a causa della dabbenaggine sottoporta di quell’altro immenso talento che risponde al nome di Keita) ma, soprattutto, la sensazione rasente la certezza, che, quando vuole, può indirizzare una partita da solo. E, ultimamente, lo vuole spesso. Ma con attorno a sè compagni che, chi per classe, chi per esperienza, chi per talento abbinato a freschezza (come non citare Cataldi, ormai prossimo all’azzurro?) formano un assieme davvero solidissimo.
Un duello avvincente non solo perchè coinvolge (e stravolge) gli umori di una città, già di per sè umorale all’eccesso, ma perchè contrappone due mondi che più diversi non potrebbero essere: il pianeta-Roma, fortissimo ma convinto (almeno sino alla scoppola con il Bayern) di essere addirittura imbattibile e visibilmente impreparato a doversi guardare le spalle, e il pianeta-Lazio, magari meno forte, spesso frenato da un’autostima troppo bassa, ma che sta imparando il valore della consapevolezza di sè.
Se Atene piange non è sempre sempre detto che Sparta non possa ridere.
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