Higuaìn e Insigne: l'oro di Napoli
Ci siamo lasciati alle spalle anche l’ottava giornata del campionato 2015/16 con una classifica, se possibile, ancor più corta di come era prima della sosta dedicata alle nazionali. E’ sempre la Viola la capolista ma il match del S.Paolo ha riportato a stretto contatto (15 punti contro 18, una sola partita di differenza, in sostanza) il Napoli che, pur soffrendo non poco l’organizzazione della Fiorentina, ha saputo cogliere, meglio della capolista, l’attimo fuggente grazie ai due suoi frombolieri d’eccezione, Insigne (6° rete in campionato per il “profeta in patria”, record personale e primato in classifica cannonieri condiviso con il compagno di linea e con il doriano Eder) ed Higuaìn, l’altro primatista in materia di reti. Due segnature pregevoli e per nulla occasionali, frutto della capacità, unica nel panorama nostrano, di verticalizzare d’improvviso per innescare le due frecce che, poi, forti di una tecnica individuale abbinata ad una velocità d’esecuzione senza riscontri in Italia, possono far male a chiunque. Non semplici prodezze individuali, dunque, ma due gemme preziose che vanno ad incastonarsi perfettamente in quello splendente diadema che è la manovra corale offensiva voluta da Sarri, il vero tecnico rivelazione di questo scorcio iniziale di stagione (assieme al collega Di Francesco che tanto bene sta facendo al Sassuolo). Non solo una accettabile tenuta difensiva, ma anche una capacità di mantenere il possesso di palla in attesa de varco giusto per affondare il colpo risolutore. Queste le novità apportate dall’ex tecnico dell’Empoli rispetto al vecchio corso di Benitez. E, in una stagione dove tutti, da Garcia a Pioli ad Allegri a Mihajlovic (ma anche Mancini), hanno dovuto subire la pressione della graticola, è proprio Sarri quello che ne sta uscendo meglio. Nondimeno, la capolista non esce ridimensionata nelle proprie ambizioni d’alta classifica, anzi. La Fiorentina, per larghi tratti, ha giocato anche meglio dei partenopei e questa è la notizia più confortante per la squadra di Paulo Sousa, frettolosamente tacciato di freddo pragmatismo (almeno fino alla serata di gala di S.Siro). Non sarà da scudetto, la Viola, a Firenze lo sanno e non s’illudono. La rosa è buona ma non così quali-quantitativa come quella di Napoli, Roma, Inter o Juve ma può recitare da protagonista fino al termine.
Ad un solo punticino, c’è ora la Roma di Garcia. E vien quasi da arrossire al pensiero delle tante critiche mosse al tecnico francese. Non tanto per la sostanza di ciò che gli si è imputato ( chè anzi alcune erano più che giustificate, per carità, come sottolineato anche da queste colonne), ma per i toni adottati da buona parte della stampa, quasi si stesse parlando dello scemo del villaggio (per usare un’immagine così cara al mister giallorosso). La Roma, in verità, non gioca ancora un bel calcio. Non della stessa qualità del Napoli e neanche con l’organizzazione della Fiorentina, e su questo Garcia dovrà lavorare ancora, ma è la squadra, tra tutte, che più facilmente può prescindere dal volume di gioco espresso. Le sue individualità sono in grado di far saltare i fortini altrui in qualsiasi momento e scoccando dardi avvelenati da qualunque distanza. Anche con l’Empoli la pratica è stata tutt’altro che semplice e c’è voluta l’ennesima prodezza balistica di Pjanic (e siamo alla terza perla su punizione in campionato), il miglior giocatore giallorosso in termini di valore assoluto e appaiato al solo Florenzi per rendimento, per incanalare la partita nei binarti sperati. Appunto. Una Roma molto più che balbettante fin lì e poi, sbloccatasi, addirittura debordante. Sintomo che basta una scintilla per scatenare l’inferno. Per gli altri. Ma è chiaro che vivere di sole fiammate è vivere pericolosamente. Vincere questa sorta di pigrizia tattico-organizzativa è la sfida più intrigante e complessa per Garcia. Ma la Roma ha questo innegabile su tutta la concorrenza, Napoli incluso: per vincere non ha la necessità di giocar bene o di essere brillante. E questa consapevolezza è anche uno dei suoi due principali limiti. L’altro si può intuire, a ben guardare, nella stessa esultanza di Pjanic: scomposta, rabbiosa, quasi isterica. E per una partita con l’Empoli, con tutto il rispetto parlando, non di una finale di Champions. Indice di un gruppo che ancora non è del tutto sereno e che le scorie delle polemiche del dopo Genova e del dopo Borisov sono ancora lì ad intossicare l’organismo di una squadra, ancora sul crinale che separa l’euforia dalla crisi di nervi. un limite ben più serio dei pur ricorrenti (anche contro i toscani) scricchiolii difensivi e, comunque, figli anch’essi di una tensione nervosa non sempre ottimale.
E’ la Lazio ora a dover inseguire i cugini ma, a ben guardare, al netto di una recente tradizione molto positiva al Mapei Stadium, non si è trattato di un risultato così sorprendente: il Sassuolo gioca molto bene. E questo si sa. E la squadra di Pioli, per esser competitiva ha bisogno come l’ossigeno di tutti i suoi titolari o, quantomeno, di de Vrij e Biglia, la sua colonna vertebrale. Out entrambi e con Parolo anch’egli fuori causa, riecco in mezzo al campo la “strana coppia” Onazi-Cataldi. Con l’improponibile Mauricio a dar manforte a un Gentiletti ancora giù di tono al centro della retroguardia. Contro una squadra veloce come il Sassuolo sorprende, anzi, come la Lazio abbia pagato un dazio abbastanza relativo nei primi 45 minuti, chiusi sotto solo per via di un rigore talmente comico da far guadagnare a Paolo Cannavaro la gratitudine eterna di Militello. Nella ripresa, poi, l’ingresso di Keita al posto del confusionario (e confuso) nigeriano ha comportato un inevitabile contraccolpo sul già precario equilibrio tattico dell’undici biancoceleste. Di qui il comodo raddoppio di Missiroli. Va detto, però, che è proprio da un’intuizione dell’ex canterano del Barça che nasceva il gol della speranza di Felipe Anderson. sarà pure tatticamente indisciplinato e non sempre freddo sottoporta, il ragazzo, ma va detto che attorno a lui le cose succedono. Una dote non comune. La Lazio esce dal Mapei a mani vuote, dunque. Ma è una sconfitta diversa, sia nella forma che nella sostanza, dai rovesci rovinosi di Verona e Napoli. Con il rientro di Biglia e con Candreva e Klose più rodati le cose dovrebbero migliorare. Per il resto, si resta nelle mani dell’infermeria. E su questo, purtroppo, Pioli può ben poco. Superfluo ribadire che ci si sarebbe dovuti muovere prima, di più e meglio durante il mercato estivo. Soprattutto nella ricerca di sostituti testuali dell’olandese e dell’argentino.
Molto bene il Frosinone, capace di centrare il secondo successo in questa stagione d’esordio nella massima serie. A far le spese della giornata di assoluta ispirazione di Paganini (autore anche della rete “apriscatole”) e soci, una Samp bella all’inizio ma piuttosto cicala. Giusto sottolineare che, se finisse oggi la stagione, i ragazzi di stellone sarebbero salvi.
In chiusura, qualche doverosa considerazione sull’altro match clou, quello di S.Siro. Il “derby d’Italia” si è chiuso sullo 0-0 e, a detta di molti, è stato giusto così, essendosi aggiudicate le due squadre un tempo a testa. Oltre ad aver colto un legno per parte. In realtà, a fronte di un primo tempo che ha visto prevalere i nerazzurri, nella ripresa si è vista solo una squadra in campo, quella di Allegri, forte di una ritrovata solidità in mezzo al campo garantita dalla coppia di lungodegenti Khedira-Marchisio, pur avendo fallito il tedesco un comodo piattone sottoporta ma stampatosi sul palo. Ma il campione del mondo è in grado di garantire quella sostanza e quella leadership che Pogba non può ancora fornire. Quanto al “piccolo principe”, il suo rientro è d’importanza capitale, essendo il vero equilibratore tattico della squadra e l’uomo più duttile dell’intero centrocampo bianconero. Il tutto, unito alla prova molto brillante di Cuadrado, spina nel fianco costante per la retroguardia interista, e alla sicurezza di Barzagli dietro, fa della Juve una squadra veramente “nuova” e nuovamente competitiva. Fin dove, è difficile dirlo anche perchè i soli 9 punti in classifica rappresentano un handicap notevole per i campioni d’Italia. Più semplice ipotizzare un bel cammino in Champions, ma sarà doveroso puntare almeno alla terza piazza. Oggettivamente, affatto semplice ma non impossibile. Sulla sponda nerazzurra, dopo una buona prima frazione, inspiegabile la scena muta della ripresa. Sciocco criticare Icardi. L’argentino, se ha la palla buona, la mette dentro spesso e volentieri. Il problema è che la manovra ancora fatica a scorrere fluida ed è ancora troppo frenetica. La precisione non può che soffrirne. Con l’unica, scintillante eccezione di Jovetic. Ieri (e non solo) uomo-reparto nel senso letterale del termine.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy