“Favoriti dalla presenza di maghi? Sì, io ne ho ben 27. I giocatori della mia rosa”. Con queste parole Garcia ha risposto alle illazioni circolate su alcuni organi d’informazione.
“Favoriti dalla presenza di maghi? Sì, io ne ho ben 27. I giocatori della mia rosa”.
Con queste parole Garcia ha risposto alle illazioni circolate su alcuni organi d’informazione. Illazioni secondo cui Lotito, che ha comunque smentito, avrebbe confidato in una telefonata a De Laurentiis che il segreto delle vittorie giallorosse risiederebbe negli influssi benefici di ben 5 operatori dell’occulto. Facezie a parte, sono numeri veramente “magici” quelli che sta collezionando la Roma in questo avvio di campionato.
Il sofferto 1-0 con il Chievo è la decima perla incastonata dalla capolista in una stagione che minaccia seriamente di tramutarsi in un inestimabile diadema di successi. A partire dal record di vittorie iniziali per la nostra serie A, da quando è a girone unico.
Per trovare una serie ancora più lunga bisogna risalire al calcio degli albori, quello in cui il nostro campionato era frazionato in tanti gironi in ragione geografica ed è ancora nelle mani della Lazio del 1913/14, campione del Centro-Sud e poi sconfitta dal Casale nella finale nazionale. Il primato di vittorie consecutive non iniziali resta ancora quello realizzato dall’Inter nel 2006/07 con 17 partite. Il record societario, in casa giallorossa, appartiene alle 11 vittorie consecutive della Roma di Spalletti del 2005/06 (anche in quell’occasione con capitan Totti costretto, sul più bello, ad arrendersi ad un infortunio).
In campo internazionale, invece, il primato appartiene, almeno circoscrivendo l’indagine ai tornei di livello equiparabile per prestigio e difficoltà al nostro, al Tottenham che vinse il campionato inglese 1960/61 grazie anche ad una striscia di 11 successi di fila (e quell’anno gli “Speroni” vinsero anche la FA Cup). Per rendere la portata di quell’evento, all’allenatore degli Spurs di quella stagione, Bill Nicholson, venne poi eretto un busto in bronzo…
E ora alla Roma manca una sola tacca per raggiungere la versione più mitica della squadra di White Hart Lane. Già così, comunque, meglio del Bayern onnivoro dell’anno scorso (gli uomini di Heynckes si fermarono a quota 8). Altrettanto stupore, però, desta un’altra cifra: un solo gol subito. E De Sanctis ha ora raggiunto i 681 minuti d’imbattibilità, molto vicino al primato societario detenuto da Pelizzoli con 774 minuti nel 2003/04. Più lontano il record assoluto della serie A, stabilito da Sebastiano Rossi tra i pali del Milan nel 1993/94.
Ma, uscendo dal vortice dei numeri, appaiono doverose alcune considerazioni: salvo una parata complicata con la Samp a Genova (si era ancora sullo 0-0) e quella su Pandev contro il Napoli (ma più un gol mangiato dal macedone che una prodezza dell’estremo difensore romanista), non si ricordano parate degne di questo nome dell’ex partenopeo. Merito sì di una difesa blindata ma anche di una cortina di ferro allestita in mezzo al campo. De Rossi-Strootman-Pjanic sono il vero punto di forza dell’11 di Garcia. Maghi lo saranno tutti, ma questi tre di più. E hanno ragione coloro che, con mirabile sintesi, così tratteggiano le prime tre della classe (saranno le prime tre anche a fine campionato, c’è da giurarci): La Juve è la più organizzata, il Napoli il più rapido ma la Roma è, indubbiamente, la squadra più compatta. E Daniele, Kevin e Miralem sono i principali responsabili di tanta compattezza. Nota a margine: il gol vittoria con il Chievo è stato messo a segno da Borriello ( undicesimo giocatore diverso ad andare in rete, altro primato, stavolta “solo” stagionale, per la Roma) che, con Totti disponibile non avrebbe, verosimilmente giocato (anche se Garcia, nel dopogara, ha sostenuto la compatibilità tattica tra i due). Segno che il capitano, pur grandissimo e in eccellente forma fisica, incide sì, ma meno di quanto molti suoi “devoti” pensino. La vera forza della squadra sta qualche metro dietro. L’inoperosità di De Sanctis lo dimostra ad ogni partita: tiri in porta non ne arrivano proprio.
Ultima considerazione: fermi restando gli straordinari meriti di Garcia, nessuno ha sottolineato come la Roma, già sotto la gestione Andreazzoli, avesse perso solo tre partite in campionato in quattro mesi. E, tolta la sconfitta (peraltro immeritata) nella prima uscita di Genova con una squadra ancora sotto shock per il traumatico esonero di Zeman, due sole le battute d’arresto: con il Palermo (colpevolmente sottovalutato da una Roma quel giorno in vacanza) e proprio contro il Chievo in quella che resta ad oggi, l’ultima sconfitta in campionato.
E chi ha visto quella gara dovrebbe ricordare che la Roma giocò molto meglio di ieri, creando una dozzina buona di palle gol non sfruttate e subendo la rete da tre punti clivense nell’unica sortita offensiva dei veneti. Ieri ancor più rinunciatari e arroccati dietro. Segno che, forse, un cambio di marcia era già in atto e che la base tecnica di altissimo livello. Eppure quest’estate, il ritiro di Brunico sembrava un misto tra un funerale e una delle piazze capitoline prese settimanalmente d’assalto da manifestanti non sempre pacifici. In mezzo? Il derby del 26 maggio.
Poteri “magici” di una partita unica. Capace di proiettare la Lazio in uno stato d’estasi che ha fornito alla società biancoceleste il destro per mascherare i comunque evidenti problemi e su cui ha preteso di campare di rendita e di spingere la Roma in un ideale baratro molto più profondo di quanto non fosse. E oltre i propri effettivi demeriti. Qui la “magia” di Garcia: resettare tutto, motivare giocatori e ambiente e ripartire da dove si era interrotto un percorso di crescita già in atto.
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