Ora Donald Trump è indagato per intralcio alla giustizia. Lo scrive il Washington Post, citando come fonti alti dirigenti dell’intelligence le cui identità sono coperte dall’anonimato.
La notizia – comparsa nella serata americana – rischia di guastare il compleanno del presidente, che proprio ieri ha spento 71 candeline. Il capo d’accusa è lo stesso che costò la Casa Bianca a Richard Nixon, che nel 1974 si dimise per evitare un impeachment inevitabile.
Lo scoop di stanotte, fra l’altro, cambia il senso delle rivelazioni secondo cui Trump vorrebbe licenziare il superprocuratore Robert Mueller, l’uomo che ora dirige le indagini sul Russiagate.
“Il procuratore speciale che guida l’inchiesta sul ruolo della Russia nelle elezioni del 2016 interrogherà alti dirigenti dell’intelligence”, scrive il WP, perché ora l’indagine “prevede di prendere in considerazione l’ipotesi che Donald Trump abbia provato a intralciare la giustizia”. Il fatto contestato è il licenziamento del direttore dell’FBI, James Comey.
Secondo le fonti del quotidiano della capitale USA, nei prossimi giorni Mueller parlerà con il capo della National intelligence Daniel Coats, il direttore dell’NSA Mike Rogers e il suo vice Richard Ledgett.
Non è chiaro se il presidente eserciterà il suo “privilegio esecutivo” per obbligare i tre dirigenti a non spiegare tutti i dettagli delle sue conversazioni con Comey. A dire il vero, non è chiaro nemmeno se questa pratica sia legale o no. Alcuni esperti ricordano che ai tempi del Watergate, la Corte Suprema degli USA decretò che il privilegio non si può esercitare per nascondere prove in un’indagine penale. E nel sistema legale americano, i giudici non possono contraddire le sentenze precedenti in casi analoghi.
Per Mark Kasowitz, il legale di Trump, “la fuga di notizie dell’FBI riguardanti il presidente è scandalosa, ingiustificabile e illegale”: a dirlo alla stampa è stato il suo portavoce Marko Corallo.
Secondo la ricostruzione del WP, a convincere Mueller a indagare su Trump sarebbe stata la deposizione di Comey davanti alla commissione Intelligence del Senato di Washington. L’ex capo dell’FBI – lui stesso titolare delle indagini sul Russiagate, prima di essere giubilato – aveva accusato chiaramente Trump di avergli suggerito di lasciar perdere le indagini su Michael Flynn, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale. Trump ha sempre contestato questa ricostruzione, dando a Comey del bugiardo e dell’informatore della stampa, e si è detto pronto a fornire sotto giuramento la sua versione dei fatti.
Nella stessa deposizione, però, Comey ha anche confermato di aver detto al presidente – in privato, lo scorso gennaio – che non era sotto indagine. Su questo dettaglio Trump ha twittato di sentirsi “totalmente e completamente riabilitato”. Non è chiaro se Andrew McCabe, il successore di Comey nominato da Trump alla guida dell’FBI, gli abbia rivolto le stesse rassicurazioni.
Nel frattempo, l’équipe del superprocuratore avrebbe anche ricercato indizi di eventuali reati finanziari compiuti fra i collaboratori di Trump.
Sempre secondo il WP, Mueller avrebbe preso appuntamento con Coats, Rogers e Ledgett per fare chiarezza sulla questione del licenziamento di Comey, sentendo anche le versioni di altri testimoni che non fossero i due diretti interessati.
Secondo quanto ha scritto la stampa USA nei giorni scorsi, Trump avrebbe contattato Coats e Rogers per chiedere loro di negare in pubblico l’esistenza di qualsivoglia prova di ingerenze russe nella sua campagna elettorale. Nelle rispettive audizioni in Senato, entrambi i dirigenti hanno negato di aver mai subito pressioni dal presidente, ma si sono anche rifiutati di rivelare il contenuto delle conversazioni con lui. Ledgett, invece, entrerebbe nel quadro in quanto avrebbe scritto la circolare interna dell’NSA che documenta il contenuto della telefonata tra il suo capo Rogers e il presidente Trump.
F.M.R.
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