“Togliete tutto ai napoletani ma lasciate stare San Gennaro!”. Parole di un acceso oratore, membro della Deputazione, organismo laico che da più di quattro secoli amministra il tesoro di S. Gennaro e le sacre reliquie.
Andiamo per ordine perché il flash mob di sabato scorso davanti al Duomo, che ha visto la partecipazione di duemila napoletani, non è la solita sciarada partenopea. La Deputazione farà ricorso per vie legali al decreto Alfano che minaccia il legame quasi fisico tra il popolo napoletano e il suo santo patrono.
“Ciuncat’ e’ mmane a S.Gennaro”, “San Gennà nu poco a pacienza”, recitano alcuni striscioni. Lo ripetiamo, non è folklore, non si tratta di una di quelle manifestazioni religiose popolari al limite della superstizione che ci fanno ridere appresso dagli stranieri. Sul sagrato del Duomo c’erano fedeli e comuni cittadini.
La faccenda è seria. Per capirla bisogna andare indietro nei secoli. Cinque, per precisione.
La Deputazione si costituì nel 1601 e da allora, malgrado numerosi tentativi degli arcivescovi di Napoli di assumerne il controllo, ha sempre mantenuto la sua indipendenza e la sua laicità. È presieduta, infatti, dal sindaco partenopeo e su di essa il cardinale in carica non ha alcuna giurisdizione.
Per capire qualcosa di questo pasticcio giuridico, bisogna raccontare il vero e proprio patto di sangue tra S. Gennaro e il popolo napoletano che avvenne a all’inizio del XVI secolo.
Anno domini 1527. Già da un anno, Napoli è teatro di guerra tra Francia e Spagna. A questo si aggiungono una terribile pestilenza, la carestia, frequenti terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Il pretendente angioino, approfittando dell’assenza del viceré, cerca di riconquistare il regno di Napoli. La città viene assediata, le acque avvelenate, bloccati i rifornimenti, muoiono centinaia di migliaia di napoletani. In aggiunta a tutto ciò, la terra trema e il Vesuvio fa paura come ai tempi di Pompei.
Il 13 gennaio, anniversario della traslazione delle ossa di San Gennaro a Napoli, la popolazione intera fa un voto: la liberazione da guerra, fame e caduta lavica in cambio di una nuova cappella nel Duomo dedicata al Santo. L’impegno fu assunto in modo solenne, con tanto di documento sottoscritto dagli “eletti” della città, e di presenza del notaio Vincenzo de Bossis. Il luogo: l’altare maggiore della cattedrale. La grazia naturalmente fu concessa, ne è testimone la storia.
“Autonomi dal 1601” recita un altro striscione, il più grande a dire il vero, del flash mob. Cosa accade veramente?
Il 5 febbraio, gli “eletti della città”, per la costruzione della nuova cappella di San Gennaro, nominarono una commissione laica di dodici membri, due rappresentanti per ognuno dei seggi cittadini, denominata Deputazione. La commissione stanziò 480 mila scudi di sua tasca senza alcun contributo del Vaticano.
I Napoletani ci misero impegno e passione.
La Reale cappella del tesoro di San Gennaro rappresenta oggi una delle massime espressioni artistiche della città, artisti di fama internazione hanno partecipato alla sua realizzazione.
Fu proprio un patto di sangue.
«A San Gennaro, al cittadino salvatore della Patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra»: è questa la traduzione dell’iscrizione latina incisa sul cancello che separa la Cappella (territorio del Comune) dal Duomo (territorio della Chiesa).
Grazie alle diverse bolle pontificie lungo i secoli, la reale cappella non appartiene e non è mai appartenuta alla Curia, ma alla città di Napoli rappresentata da un’antica istituzione civica ancora oggi esistente, la Deputazione, appunto.
Il decreto Alfano ha messo tutto in discussione affidando al cardinale, sottraendola al sindaco, la nomina di quattro componenti della Deputazione. Il decreto del ministero, in poche parole, consente l’ingresso della Curia nella scelta dei componenti della storica associazione, composta dai discendenti delle famiglie nobili della città. Un organo storicamente laico che ora però vedrebbe modificata la sua natura in religiosa. E questo i Napoletani non lo possono sopportare perché mette a rischio il legame tra il santo e la città.
“Giù le mani da San Gennaro” grida il popolo. La Deputazione non è una Fabriceria, come vorrebbe il decreto Alfano, cioè a un ente che provvede al mantenimento dei beni dei luoghi sacri. E’ molto di più.
Per Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, quella di sabato è stata una grande manifestazione civica di Napoli e dei suoi cittadini. Tutti hanno capito l’importanza del senso di appartenenza a un’identità conquistata nel corso dei secoli. San Gennaro cittadino di Napoli va tutelato.
Bassolino e il sindaco de Magistris stanno dalla parte dei manifestanti.
E il cardinal Sepe? Ha dichiarato che, come recita la Bibbia, c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Questo è per lui il tempo per tacere, ma poi parlerà, ha affermato, e tanto. Che ‘a maronna t’accumpagn!
Alessandra Caneva
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