Che tempo fa in materia di informazione? La domanda potrebbe apparire scontata e banale in quanto l’informazione in Italia da decine di anni è sempre più a senso unico, ovvero al servizio di potenti e potentati, politici o economico aziendali che siano. Cercare poi in questo assunto un distinguo più sofisticato è cosa francamente ardua nel momento in cui ipocrisia ed opportunismo continuano a condizionare pesantemente le scelte dei giornalisti italiani. Comunque proviamoci visto che, in questi giorni, sul caso Fabio Fazio e sulla riduzione del numero di puntate della sua trasmissione di intrattenimento serale si sono dette autentiche stupidaggini dettate più dalla malafede che da autentica onestà intellettuale o voglia di salvaguardare la libertà di espressione.
Vediamo perché. Chiariamo subito che da oltre trent’anni, con brevi pause durante i governi di centro destra (ma anche qui, è noto, Berlusconi più che un servizio radiotelevisivo per i cittadini voleva una comunicazione pilotata ed ossequiosa del Capo come, peraltro, sempre fatto nelle proprie reti commerciali), l’informazione in Rai ha rappresentato un unicum. Una realtà gestita in maniera privatistica che ha avuto come unici referenti il Pd e le frange estreme di intellettuali disarcionati dagli stessi partiti di riferimento e dall’elettorato italiano, ma in compenso sostenuti da un sindacato di categoria, la Fnsi. Un organismo che oggi sopravvive solo grazie al rapporto privilegiato con gli eredi del vecchio Pci-Pds-Ds-Pd, rapporto che ha toccato l’apice con la gestione catto-comunista di Franco Siddi il segretario che, ha visto i suoi sforzi premiati al termine del suo mandato sindacale con un lucroso contratto di consigliere di amministrazione alla Rai.
E non sta a me ricordare che quelli erano gli anni in cui la categoria dei giornalisti, ovvero la categoria che avrebbe dovuto vigilare sul corretto ed onesto funzionamento delle regole del gioco democratico tutelando meglio ed in maniera più concreta giornalisti e libertà di stampa, veniva invece vergognosamente chiamata manifestare sotto le bandiere rosse di un Pd ben incardinato nelle stanze del potere.
Ma questa è storia di ieri ripescata però dall’attuale segretario della federazione dei giornalisti Giuseppe Giulietti che invece di guardare allo stato preagonico di una categoria penosamente in affanno con l’istituto di previdenza Inpgi ad un passo dal fallimento ed i giornalisti italiani da tre anni senza contratto nazionale di lavoro, cosa fa? Starnazza e chiama a raccolta gli amici di partito e sindacato per “difendere” Fabio Fazio, tra l’altro non più nella categoria pubblicisti dal 2016, al quale la Rai ha legittimamente ridotto di tre puntate quello che era ed è sempre stato un intrattenimento costosissimo per viale Mazzini ma un autentico Bengodi per questo Mandarino dell’informazione partigiana a senso unico.
Un personaggio che grazie ai suoi protettori politici ha sempre goduto e gode di privilegi e contratti miliardari inauditi. Inaccettabili in tempi come questi. Alla faccia di una categoria alle prese con una crisi, è bene ricordarlo, dalla quale sarà ben difficile uscire se non si tronca per tempo quel cordone ombelicale (a destra come a sinistra) che non vuole onesti controllori tra le palle ma solo ossequiosi e scodinzolanti servi della penna.
Enzo Cirillo
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