E’ morto il regista Ettore Scola. Nato a Trevico, in provincia di Avellino, il 10 maggio 1931, aveva 84 anni. Nonostante la laurea in giurisprudenza conseguita per contentare i suoi familiari, giovanissimo aveva preferito lavorare nel giornalismo e nello spettacolo. I suoi capolavori sono stati: ‘C’eravamo tanti amati’ (1974), ‘Una giornata particolare’ (1977) e ‘La famiglia’ (1987). Scola era ricoverato nel reparto di cardiochirurgia del Policlinico Umberto I di Roma, in coma da domenica. E’ morto ieri sera, circondato e protetto dall’affetto della sua famiglia: della moglie Gigliola, sceneggiatrice e regista anche lei, e delle figlie Paola e Silvia. Amici e cittadini potranno rendergli omaggio il 21 e 22 gennaio, a partire dalle 10.30 di domani, presso la Casa del Cinema.
Hanno voluto ricordare il grande regista appena scomparso anche il premier Matteo Renzi e il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. “Ettore Scola, maestro dalla incredibile capacità di lettura dell’Italia e dei suoi cambiamenti, lascia un enorme vuoto nella cultura italiana”, ha scritto il presidente del consiglio su twitter.”Ci ha lasciato Ettore Scola. Un grande maestro, un uomo straordinario, giovane sino all’ultimo giorno della sua vita”, ha commentato Franceschini sulla morte di questo Maestro del cinema che nella sua carriera, oltre al premio ricevuto a Cannes per la Miglior regia di ‘Brutti, sporchi e cattivi’ (1976), Scola ha vinto 8 David di Donatello e ottenuto 4 candidature all’Oscar con ‘Una giornata particolare’, ‘I nuovi’ mostri’, ‘Ballando ballando’ e ‘La famiglia’.
Tra i suoi insegnanti ha avuto Ruggero Maccari, Mario Mattoli, Steno, Antonio Pietrangeli ma anche Totò e Sordi. Eppure è a Vittorio De Sica che poi dedicherà il suo capolavoro ‘C’eravamo tanto amati’ del ’74 ed è al neorealismo che guarderà con ‘Una giornata particolare’ del 1977, scritto con Maccari da un’idea di Maurizio Costanzo, forse il punto più alto della sua collaborazione con l’amico Marcello Mastroianni che avrebbe diretto in ben nove film.
Gli anni ’70 coincidono con la massima creatività dell’autore che però firma le sue prime sceneggiature già nei primi anni ’50, conoscendo successi da ‘Un americano a Roma’ a ‘Accadde al commissariato’, da ‘Il conte Max’ a ‘Il mattatore’ o ‘La marcia su Roma’ che preannuncia il suo esordio dietro la macchina da presa: è il 1964, il film è ‘Se permettete parliamo di donne’. Un buon successo, una sicurezza del mestiere gli consentiranno di ripetersi (‘La congiuntura’ e ‘L’arcidiavolo’), ma è nel ’68 che, grazie alla garanzia di Sordi, firma il suo primo successo popolare con ‘Riusciranno i nostri eroi’. I vizi degli italiani sono in mostra, l’approccio è diverso da quello dei Monicelli e Risi, una vena di malinconia e di solidarietà per i suoi ‘mostri’.
Dopo ‘Io la conoscevo bene’ nel 1965, dal ’69 (‘Il commissario Pepe’ con Ugo Tognazzi è omaggio indiretto a Pietro Germi) Scola diventa un ‘autore’ a tutto tondo. Da regista ha sempre guardato con disincanto alla sua carriera, eppure film come ‘La più bella serata della mia vita’ da Durrenmatt, ‘I nuovi mostri’, ‘La terrazza’, ‘La famiglia’ scandiscono altrettanti capitoli del miglior cinema italiano in una fase storica (l’ultimo terzo del ‘900) che acuiva il declino italiano. “Non mi pare che le cose siano migliorate – commentava di recente -, anzi. Ma mi fa piacere che titoli come La terrazza o La famiglia si vedano ancora, fotografano momenti di svolta importante nella nostra vita , specie il secondo che abbraccia idealmente 80 anni di storia italiana”.
Ma era affezionato anche al corto contro il razzismo come ‘1947- 1997’ o al corale “Gente di Roma” che racchiudeva la sua memoria di romano d’adozione. Di Scola va ricordata l’anima di più ampio respiro europeo, che passa per titoli come ‘Il mondo nuovo’ (1982), ‘Ballando ballando’ (1983), ‘Il viaggio di Capitan Fracassa’ (1990). Che la politica sia stata sempre la sua passione è facile ricordarlo scorrendo la lista dei documentari che ha firmato: da ‘Viaggio nel Fiat Nam’ fino a ‘Un altro mondo è possibile’ e ‘Lettere dalla Palestina’ (opere collettive dei cineasti italiani del 2002), passando per il toccante ‘L’addio a Enrico Berlinguer’ del 1984. Scola non si è mai nascosto dietro scelte di comodo, ma non ha mai sbandierato le sue passioni con un gusto della battuta sdrammatizzante che lo accompagnava in ogni apparizione pubblica. “Bisogna saper ridere di sé per ironizzare sul mondo – diceva -. Peccato che ogni anno che passa sia sempre più difficile”. Era un uomo forte e robusto, il volto da antico romano incorniciato da una barba severa che negli ultimi anni si era imbiancata come la capigliatura leonina. Parlava piano con un eloquio punteggiato di battute sottili che non risparmiavano niente e nessuno, ma sempre accompagnate a una natura gentile che restituiva umanità e calore. Ha vinto a Cannes, a Venezia, per quattro volte è stato nominato all’Oscar e sulla bacheca di casa figurano 8 David di Donatello, compreso quello alla carriera ricevuto nel 2011. Ha tenuto a battesimo imprese culturali come il Festival di Annecy e quello di Bari, la Casa del Cinema (fondata dall’amico Felice Laudadio), la Festa di Roma (di cui ha presieduto la prima giuria, nel 2006). Ha vissuto tra i libri, le passioni, il disegno, la musica, senza sentirsi quel grande intellettuale europeo che era diventato.
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