“Cuelli morti che ssò de mezza tacca fra tanta ggente che se va a ffà…
vanno de ggiorno, cantanno a la stracca, verzo la bbuscia che sse l’ha da iggnotte”.
Il Belli, nella sua coloritissima parlata, descrivendo le differenze sociali anche dopo la morte raccontava dei poveri che venivano buttati nella fossa comune senza neppure una cassa. Era l’800, due secoli e mezzo fa.
Oggi è un’altra cosa. I cimiteri sono ricchi di cappelle ben architettate e di fiori che adornano le lapidi più stravaganti, a testimonianza della cura per chi non c’è più. Un’abitudine senza tempo che trova radici da quando l’uomo esiste, una necessità dell’uomo che vuole conservare la continuità con il vissuto passato, come a garanzia che vi sia una continuazione della “vita oltre la morte”.
Riallacciando il discorso al Belli, altrimenti ci perdiamo, niente più fosse comuni oggi se non quando non vengano richiesti servizi o trattamenti speciali, o i cadaveri non siano riconosciuti. Ma per loro sempre una cassa di legno, messa a disposizione gratuitamente dal Comune per salme di persone appartenenti a famiglie indigenti.
Tutto questo in teoria, perché nella pratica degli ultimi anni, e degli ultimi tempi in particolare, a Roma non c’è più un occhio di riguardo neanche per i morti.
Neanche, sì. Perché se è davvero difficile vivere in una città che, causa un’amministrazione incapace tutt’altro che a cinque stelle, è nella totale immobilità e ha mandato in malora anche quello che con un po’ di manutenzione si sarebbe potuto conservare o salvare, i luoghi deputati ad accogliere i defunti, i cimiteri capitolini, versano in condizioni tanto critiche da dover sospendere da un giorno all’altro le pratiche funerarie.
Ci sono infatti circa 2000 bare in attesa di cremazione, nonostante le rassicurazione della società preposta al servizio di alzare il tetto delle cremazioni settimanali (portandole a 300 da gennaio 2021). Proprio adesso che a causa del Covid 19 i decessi sono aumentati, le camere mortuarie sono piene e l’incenerimento dei corpi è diventato impossibile. Sui cimiteri, già al collasso e in punto di chiusura per mancanza di posti (a Roma sono ben tre: lo storico Verano; il Flaminio a Prima Porta, consacrato negli anni della Seconda Guerra mondiale, il più recente Laurentino del 2002, che copre l’area sud-est della Capitale) pesa la situazione di un organico ridotto ai minimi termini, mentre gli interventi di miglioramento promessi e per i quali c’erano fondi stanziati non sono mai partiti. Sicché il cimitero Flaminio nel pomeriggio di lunedì si è trovato nella necessità inderogabile di avvisare per email che il giorno dopo non sarebbe stato possibile conferire salme a Prima Porta con destinazione cremazione. Una comunicazione irricevibile dalle decine di famiglie che per quel giorno avevano già il funerale fissato.
Insomma, ai cittadini residenti a Roma è stata tolta anche la possibilità di una sepoltura dignitosa vista la situazione da codice rosso che vede da parte di Ama Spa, l’azienda municipalizzata dei rifiuti che si occupa anche dei servizi cimiteriali, ridicoli tentativi di minimizzare problemi non nuovi, ben conosciuti dall’amministrazione capitolina che continua ad ignorarli.
Ed ecco che si arriva quindi alla manifestazione degli operatori funebri, venerdì scorso sul Campidoglio, che per emblema ha issato il cartello dove un figlio chiede scusa alla mamma: “non riesco ancora a farti tumulare”.
“L’impegno è massimo per far fronte a un trend in costante e continua crescita di decessi: da ottobre 2020 a marzo 2021 sono stati registrati 4.763 decessi in più rispetto agli analoghi mesi del biennio 2019/2020 (+30%). Il delta di incremento è confermato anche dai primi 8 giorni di aprile, con 79 defunti in più rispetto all’anno scorso”. La municipalizzata confida nei 2,7 milioni di euro investiti dal Comune, una parte serviranno proprio per tre nuovi forni crematori del Flaminio, e nelle nuove assunzioni. “Le operazioni cimiteriali – la prospettiva annunciata – saranno ulteriormente implementate fino a raggiungere progressivamente spazi disponibili per complessive 60mila nuove sepolture”.
Eppure la crisi era prevedibile, considerata anche la propensione dei cittadini alla cremazione. “Si è aspettato colpevolmente che finissero gli spazi disponibili”, denuncia il responsabile CGIL Roma e Lazio , Natale Di Cola, “ma quello che ci preoccupa e ci fa arrabbiare che la disattenzione e la mancanza di progettualità della politica sia sempre pagata da cittadini e lavoratori”.
Cartelli e corone di fiori hanno coronato la protesta di cui ha voluto solidarizzare con le famiglie che in questo momento sono costrette a sopportare anche il sovrapprezzo per il trasporto del feretro del proprio congiunto: si calcoli che per la consegna di una bara ogni trasportatore impiega non meno di cinque ore, proprio causa carenza di personale cimiteriale addetto alla ricezione.
“Scusateci se non ci consentono di seppellire i vostri Cari”, recita uno dei cartelli.
“Scusateci, cari cittadini, per la nostra imperdonabile distrazione, alla nostra incapacità ad esaudire le Vostre necessità”: questa avrebbe dovuto essere la risposta di Virginia Raggi, ormai prossima alla scadenza del suo mandato. Ma per chiedere scusa bisognerebbe prima ammettere i propri errori.
Bah
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