La satira è preziosa. È lei l’arma definitiva, altro che il kalashnikov: permette all’intelletto di vincere la forza bruta, all’oppresso di rifarsi contro il prepotente, alla vittima di fare giustizia del carnefice.
Ora, quale esempio di carnefice prepotente e brutale abbiamo, sulla Terra, migliore dell’ISIS?
Sarà andato più o meno così il ragionamento che ha ispirato un centro culturale iraniano a organizzare un concorso di satira contro il cosiddetto califfato.
“Facciamogliela vedere a quei macellai”, si saranno detti: “Quale arma meglio della satira? La nostra matita è più forte del vostro piombo, il nostro intelletto è libero, viaggia alla velocità del pensiero e parla tutte le lingue”.
E concorso è stato. Il Centro per il fumetto di Teheran ha fatto veramente un ottimo lavoro: la mostra ha raccolto molte più adesioni di quanto ci si aspettasse, e su ottocento iscritti – tra cui molti stranieri – gli organizzatori sono stati costretti a selezionarne 270, comunque un numero sufficiente a riempire quattro spazi espositivi.
Ammirevole, no? Finalmente qualcuno che non cede al ricatto della violenza, che non ci sta a ripagare il sangue con altro sangue. Vogliamo stringere la mano a questi campioni dell’umanità, paladini della libertà contro l’intolleranza e l’oscurantismo.
Non è questa la reputazione del regime iraniano? La Repubblica Islamica non è forse il primo Stato a balzare in mente quando si pensa alla satira, alla libertà di espressione e ai diritti civili e sociali? E che dire del trattamento riservato a chi grida che l’ayatollah è nudo?
Ma sappiamo che l’Iran è in guerra con l’ISIS – lo sappiamo tutti, vero? – e sappiamo che a Teheran hanno il pallino delle dottrine strategiche semplici, stile “ogni metro conquistato è un metro guadagnato”. È solo che stavolta, per caso, il loro nemico non è amico nostro: quelli erano i gloriosi anni Ottanta, quando esistevano le mezze stagioni, il mondo era diviso in buoni e cattivi e il governo USA giurava e spergiurava sulle buone intenzioni del presidente iracheno, un certo Saddam Hussein.
Allora ci può stare anche che il regime degli ayatollah mobiliti il Centro per il fumetto di Teheran. Non sarebbe nemmeno la prima volta: all’indomani della strage nella redazione di Charlie Hebdo, il Centro fu investito della responsabilità di organizzare una mostra che aveva per tema la negazione dell’Olocausto, a titolo di provocazione contro il giornale che aveva osato fare satira su Maometto.
Invertire ciò che il lettore si aspetta, d’altra parte, è una tecnica impiegata per far ridere fin da tempi antichissimi. Lo sa chi fa satira; lo sa meglio chi la fa sapendola fare per bene, che è un talento raro, soprattutto a proposito di se stessi.
Fare satira involontaria, poi, è un talento rarissimo. Soprattutto a proposito di se stessi. Lo spettacolo cui abbiamo assistito oggi a Teheran, insomma, è rarissimo. Che fossimo tutti Charlie già lo sapevamo. Ma evidentemente, alcuni sono più Charlie degli altri.
Filippo M. Ragusa
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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