La svolta buona di Renzi, annunciata con tanto di slide e hashtag su twitter, è slittata da 100 a 1000 giorni.
“Ci prendiamo un arco di tempo che sia sufficiente: dal 1 settembre 2014 al 28 maggio 2017 – ha spiegato il premier annunciando le linee guida del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue – sul quale sfidiamo il parlamento, perché la nostra legittimazione deriva da lì”.
Per Renzi “tre anni sono un periodo ampio per permettere all’Italia di fare l’Italia senza farsi dettare l’agenda di governo da un soggetto esterno”.
Eppure, a guardare il sommario delle riforme del più giovane capo di governo della storia della Repubblica italiana, questi traguardi, se non tutti almeno in parte, dovevano essere già in cassaforte.
Al momento però, Renzi che torna a ricordare il “tesoretto da 40% di voti” e definisce questi primi 100 giorni di governo “più o meno scoppiettanti”, può mettere il segno di spunta solamente accanto alla voce bonus di 80 euro e aumento della tassazione sulle rendite finanziarie.
La riforma della legge elettorale, ad esempio, passata in Cdm a metà marzo è stata vagliata solamente dalla Camera dei Deputati ed è ferma al Senato. L’auspicio –rimasto tale- dell’allora segretario del Pd, mentre il governo Letta era ancora in carica, era quello di “approvarlo prima delle elezioni europee del 25 maggio”.
Sempre a marzo Renzi annunciava la riforma della Pubblica Amministrazione, del fisco e della giustizia, che sono invece ancora in fieri o non definitivamente pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
Per trovare un riferimento allo sblocco dei fondi per il pagamento dei debiti della PA bisogna risalire fino a febbraio scorso, quando Renzi annunciava di aver bisogno di 15 giorni per liberare le risorse. Una data scalata successivamente a luglio prima e a settembre poi. In ogni caso, non è bastato ad evitare la lettera di messa in mora dell’Italia da parte di Bruxelles, primo passaggio della procedura di infrazione europea proprio a causa del mancato raggiungimento degli obiettivi sui termini massimi per il saldo dei servizi erogati dai fornitori privati.
Anche sul piano della riforma del Lavoro, il Jobs Act è ancora rimasto sulla carta. Attualmente il governo ha visto approvare il decreto Poletti, ma non il piano di riforma annunciata da Renzi tanto che il Fondo Monetario Internazionale, nel suo rapporto annuale, ha sostanzialmente dato la sua implicita approvazione al Jobs Act consigliando al premier di dare una accelerazione al processo proprio per sostenere il processo di crescita economica, attualmente fragile, del nostro Paese.
Il via libera alla riforma del Senato e del titolo V della Costituzione arriva alla fine di marzo. Il testo, predisposto dal ministro Boschi, contiene l’abolizione del Cnel e prevede una struttura composta da 148 senatori, in parte espressione di comuni e regioni, in parte di nomina presidenziale, non eletti e senza indennità. Ad oggi però anche questa riforma è rimasta sulla carta e non approdata a una fase di discussione e votazione.
Il percorso che l’ex sindaco di Firenze ha intrapreso dunque, per quanto possa essere letto da molti osservatori come un interessante opportunità per l’Italia, ha bisogno sicuramente di tempi differenti rispetto a quelli annunciati ad inizio mandato. Proclami che Matteo Salvini, leader della Lega Nord, legge come quelli di un “parolaio vuoto.
Anche il Movimento 5 Stelle non fa passare quello zero in più aggiunto da Renzi in sordina tanto che il deputato stellato, Riccardo Fraccaro, su twitter parla di “#svoltabluff”.
Il Mattinale, velina del gruppo FI alla Camera, non perde l’occasione per un confronto con i Mondiali di calcio brasiliani, alla luce dell’eliminazione dell’undici azzurro: ”per dichiarare fallimento, dimettersi e abbandonare l’Italia, Prandelli ha aspettato che l’Italia si schiantasse. Ecco, questo ci preme: togliere Renzi dalla guida del governo prima che spiaccichi l’Italia contro il muro dei suoi fiaschi riformistici per finta”.
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