I missili impiegati dalle forze armate russe per i bombardamenti in Siria “possono essere armati sia con testate convenzionali sia con testate speciali, cioè quelle nucleari”. Lo ha detto il presidente Vladimir Putin ieri sera, dopo un incontro con il ministro della Difesa Sergej Shoigu.
Putin ha immediatamente precisato che “certamente nulla di questo è necessario nella lotta ai terroristi, e spero che non sarà mai necessario”, ma fra le righe si legge un avvertimento chiaro: Mosca è disposta a tutto per ottenere un assetto soddisfacente dalla guerra civile in Siria.
Shoigu ha confermato che nel bombardamento di ieri è stato impiegato per la prima volta il sottomarino Rostov, uno dei fiori all’occhiello della marina russa. L’imbarcazione appartiene alla classe Varshavjanka, caratterizzata da basse emissioni di rumore e dall’uso di tecnologie che la rendono praticamente invisibile ai radar. Specifiche tecniche che lo accomunano al super-cacciatorpediniere USA Zumwalt, la prima di tre navi gemelle costate più di 4 miliardi di dollari ciascuna, che proprio ieri ha effettuato la prima prova in mare aperto davanti agli occhi di circa 200 persone.
I razzi partiti dalla Rostov avrebbero colpito due obiettivi di primaria importanza nella zona di Raqqa, la città dell’entroterra siriano che fa da capitale all’ISIS. Shoigu si è detto sicuro che “gli attacchi hanno portato un danno abbastanza significativo a un magazzino di munizioni e a infrastrutture petrolifere”.
Di attacchi missilistici russi lanciati da sottomarini stanziati nel Mediterraneo si era già parlato negli ultimi due mesi, ma questa è la prima conferma ufficiale. La Russia ha informato gli USA prima di dare il via all’operazione, circostanza per cui il portavoce del Pentagono, Peter Cook, ha ringraziato il Cremlino: “Lo abbiamo apprezzato”.
La decisione di comunicare in anticipo le proprie mosse agli USA, e viceversa, fa parte del memorandum d’intesa sottoscritto dai due Stati per evitare nuovi “incidenti” fra le forze armate delle due coalizioni internazionali che agiscono in Siria. L’accordo si era reso necessario dopo le ripetute denunce di sconfinamento – culminate nell’abbattimento di un caccia russo – mosse dalla Turchia, alleata degli USA, alla Russia.
Fra Ankara e Mosca, intanto, continuano il gelo diplomatico e lo scambio di accuse. Lunedì scorso, le autorità turche hanno arrestato ed espulso un gruppo di giornalisti russi che stavano indagando sul traffico di petrolio dell’ISIS, di cui nelle scorse settimane Putin ha accusato personalmente il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la sua famiglia. Fra i protagonisti della vicenda – secondo quanto riporta Russia Today – ci sono Aleksandr Buzaladze e la sua troupe del canale TV di stato Rossija 1. L’arresto sarebbe stato eseguito da poliziotti in borghese nella provincia sudorientale di Hatay, che confina con la Siria ed è abitata in maggioranza da curdi.
Il ministero degli Esteri di Mosca ha condannato “l’azione illegale delle autorità turche”, definita “del tutto inaccettabile”.
La Turchia ha affidato la risposta a Ibrahim Kalin, portavoce di Erdogan, che è tornato ad accusare la Russia di non impegnarsi abbastanza contro l’ISIS. Solo il 9-10% dei bombardamenti aerei russi in Siria ha colpito Daesh”, sostiene il portavoce: “Il restante 90% ha colpito le forze di opposizione moderata”. Secondo Kalin, comunque, “la Turchia ha i canali diplomatici per risolvere la crisi con la Russia”.
F.M.R.
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