L’attacco chimico contro i civili in Siria è un “terribile affronto all’umanità”. Lo ha detto il presidente USA Donald Trump dalla Casa Bianca, dove ieri ha ricevuto re Abdallah II di Giordania.
Di questo crimine, “orribile, indicibile”, Trump accusa il regime del presidente Bashar al-Assad. Anche il Segretario di Stato Rex Tillerson ha dichiarato di non avere dubbi a riguardo.
La strage di Khan Sheikhoun – il cui bilancio è arrivato a 86 vittime, di cui 30 bambini, secondo quanto riferisce l’ONG ONDUS – potrebbe essere servita a far cambiare idea all’amministrazione USA sull’assetto della Siria. Finché era in campagna elettorale, Trump aveva fatto capire di voler stabilizzare il Paese con l’aiuto della Russia, il maggiore alleato del regime di Assad. Ieri, invece, Trump ha lasciato intendere che potrebbe scegliere un corso d’azione diverso.
Se il mondo cambia, io non resto dove sono: io cambio. Sono orgoglioso di essere flessibile. E ve lo dico: l’attacco contro i bambini ha avuto un grande impatto su di me. Un grande impatto. È stato orribile. Non c’è molto di peggio. È altamente possibile, anzi sta già succedendo, che il mio atteggiamento verso la Siria e verso Assad cambi molto.
Da parte sua Tillerson ha proposto espressamente alla Russia di ripensare il suo sostegno al regime siriano. Non c’è da aspettarsi che Mosca risponda di sì: il Cremlino continua a ritenere che il gas tossico che ha provocato la strage fosse in un deposito dei ribelli, bombardato, questo sì, dall’aviazione di Assad.
Che si trattasse di gas nervino lo hanno confermato le autopsie, svolte alla presenza di esperti dell’OMS, di tre vittime decedute dopo essere state ricoverate in Turchia. Lo ha riferito Bekir Bozdag, il ministro della Giustizia di Ankara. L’ipotesi della nube tossica sprigionata da un deposito bombardato, invece, non sta in piedi: lo spiega nel dettaglio Dan Kaszeta in un articolo su Bellingcat, citato in Italia da Il Post. Il sarin, il gas nervino usato a Khan Sheikhoun, è chimicamente instabile. Per questo si preferisce conservare separati i composti chimici usati per produrlo, e innescare la reazione solo all’ultimo momento. Uno di questi composti – l’alcool isopropilico – è altamente esplosivo. Bombardarne le scorte non solo non avrebbe potuto innescare la reazione, ma probabilmente avrebbe anche fatto esplodere tutto l’impianto, e nessun testimone ha raccontato di aver visto o sentito esplosioni del genere. Tutto questo ammesso e non concesso che i ribelli avessero a disposizione queste ampie scorte di armi chimiche costose e difficili da ottenere. Ad ogni modo, colpire scientemente un deposito di gas nervino è a tutti gli effetti un attacco chimico, anche se realizzato con armi altrui.
La Russia ha eliminato ogni dubbio sulla sua condotta bloccando la proposta di USA, Francia e Gran Bretagna al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le tre potenze occidentali volevano obbligare Assad a cooperare “pienamente” con l’inchiesta sui fatti di Khan Sheikhoun, con il Palazzo di vetro e con l’OPAC, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
Il rappresentante russo in Consiglio, invece, ha posto il veto: “Non vediamo un particolare bisogno di adottare una risoluzione”, ha detto, ricordando che Mosca “ha condannato l’uso di armi chimiche in ogni circostanza e affermato che gli autori devono essere ritenuti responsabili”.
Ora, per esprimersi, l’ONU dovrà passare per l’Assemblea generale, senza la possibilità concreta di obbligare Assad – o chiunque altro – a fare alcunché. In questo frangente, d’altra parte, gli interventi di tutte le cancellerie sembrano ispirati alla stessa coscienza di quanto sia ristretto il raggio d’azione.
Le condanne sono tante: oggi al coro contro il regime siriano si è aggiunto anche lo stato d’Israele. Ma nessuno chiede più apertamente ad Assad di farsi da parte. È così da quando la Russia è intervenuta in prima persona in Siria, con le sue truppe e i suoi jet, facendo girare il vento della guerra civile a favore del presidentissimo.
Nel 2012 Barack Obama poteva ancora permettersi di definire l’uso delle armi chimiche una “linea rossa” da non superare, pena l’intervento armato. La linea fu superata nel 2013, alla Ghuta, la periferia di Damasco: le vittime del sarin furono come minimo trecento, più probabilmente più di mille, a seconda delle stime. Ma l’intervento USA fu evitato in extremis da un accordo in cui Assad si impegnava a smantellare il suo arsenale chimico, con la Russia a fare da mediatore.
Ieri Trump ha detto che di linee rosse se ne sono superate parecchie. L’inversione di marcia rispetto al 2013 è totale: allora l’attuale presidente “invitava” Obama a non attaccare la Siria, in uno dei suoi famigerati tweet a caratteri cubitali. Nel frattempo il mondo ha iniziato a considerare il regime di Assad come un male necessario, un dato inevitabile negli assetti presenti e futuri della Siria. L’intervento in forze della Russia ha messo l’esercito lealista al riparo da ogni possibilità concreta di ritorsione.
Siamo davvero a un punto di svolta? Che cosa possono fare gli USA, e quali rischi sono disposti a correre? La risposta a queste domande verrà dagli avvenimenti dei prossimi giorni. Oggi possiamo solo riflettere su ciò che ha detto Nikki Haley, l’ambasciatrice USA all’ONU, nella seduta di ieri del Consiglio di sicurezza:
Quando l’Onu non riesce a portare avanti il suo dovere di agire collettivamente, ci sono momenti in cui gli Stati sono costretti ad agire per conto proprio.
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