Il Partito Popolare del premier uscente Mariano Rajoy (PPE) si aggiudica di misura le elezioni politiche spagnole. Il Partito Socialista (PSOE) di Pedro Sanchez perde voti ma resiste al secondo posto. Delude Podemos. Dopo l’accordo elettorale con la Sinistra Unita, gli ex-indignados di Pablo Iglesias puntavano a scalzare i socialisti come prima forza di sinistra. Invece il sorpasso non è riuscito. Al quarto posto perdono terreno i Ciudadanos di Albert Rivera.
Al Congresso dei Deputati, la Camera bassa delle Cortes di Madrid, con il 33,03% dei voti, il PPE ha ottenuto 137 seggi su 350. Il PSOE (22,66%) ne ha ottenuti 85, Podemos (21,26) 71, Ciudadanos (13,05) 32. Tra i partiti minori, la Sinistra repubblicana catalana ha ottenuto 9 seggi, in rimonta sui rivali liberali di Convergenza Democratica, che ne hanno avuti 8. Cinque seggi sono andati al Partito nazionalista basco, due a Euskal Herria e uno ai nazionalisti delle Canarie.
Al Senato, i popolari si sono aggiudicati 130 dei 208 seggi in palio. Sommati ai 21 senatori PPE sui 58 nominati dalle Regioni, qui il partito di Rajoy si conferma forza di maggioranza assoluta. Ma in Spagna la Camera alta non vota la fiducia al Governo: il suo ruolo è indispensabile solo nell’iter di revisione costituzionale.
Il PPE è stato il partito più votato in 15 delle 17 regioni, dette comunità autonome, tra cui le roccheforti socialiste dell’Andalusia e dell’Estremadura. In Catalogna e nei Paesi Baschi si è imposto Podemos. Dalla caduta della dittatura franchista, è solo la seconda volta che i socialisti non hanno la maggioranza almeno relativa in nessuna regione.
Le elezioni di ieri si erano rese necessarie dopo il fallimento di tutti i tentativi di formare un governo riconosciuto dalle Cortes elette lo scorso 20 dicembre. Delle quattro forze politiche nazionali, i popolari sono gli unici ad aver guadagnato seggi. Ma per avere la maggioranza alla Camera bassa servirà una coalizione ampia, e i negoziati con le altre forze politiche si annunciano complessi.
Nel Congreso il PPE si è aggiudicato 137 seggi su 350, 14 più dell’ultima tornata elettorale. Ma una parte del vantaggio compensa le perdite dei Ciudadanos, potenziali alleati di centrodestra, passati da 40 a 32. Il totale è di 169 seggi, mentre il quorum per la maggioranza è a 176. Sarà difficile raggiungerlo con i voti dei partiti catalani e baschi, delusi dalla retromarcia dell’ultimo governo targato PPE sul referendum per l’indipendenza della Catalogna. Più plausibile sembra una coalizione di larghe intese con i deputati del PSOE: è la soluzione preferita di Rajoy, che l’aveva già proposta a dicembre per superare l’impasse parlamentare che ha reso inevitabile il ritorno alle urne.
Sanchez si è sempre rifiutato di far parte di coalizioni ampie, ma dopo il risultato delle elezioni potrebbe cambiare idea. Per la rinnovata autorevolezza di Rajoy, l’unico leader che può dire di non aver perso, ma anche perché è naufragato il progetto di governare in coalizione con Podemos. Coalizione che in ogni caso non avrebbe avuto vita facile: la diffidenza reciproca tra Sanchez e Iglesias è ben documentata. Ma il risultato del partito viola ha stroncato ogni chance di accordo a sinistra. Contro ogni previsione – e i sondaggisti spagnoli hanno fama di essere più affidabili della media – Podemos non si è scollato da quota 71 deputati: tanti quanti ne aveva ottenuti a dicembre, senza i voti della Sinistra Unita.
“Rivendichiamo il diritto di governare perché abbiamo vinto”, ha commentato Rajoy. “Da domani inizieremo a parlare con tutti”. Ma la strada che porta alla formazione dell’esecutivo non ha ancora imboccato la discesa. Se le trattative dovessero fallire, c’è già chi parla di governo di minoranza. Quel che si vuole evitare – l’unico punto su cui Rajoy, Sanchez, Iglesias e Rivera concordano in pieno – è costringere gli elettori a tornare alle urne per la terza volta, fra tre o quattro mesi.
F.M.R.
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