O sposa o schiava: sembra esser questo il destino delle donne siriane, nubili o vedove, giovani o adulte. È lo stato islamico a decidere, è il maschio, quella cultura che della donna proprio non sa che farsene. O forse la teme. È ciò che accade, troppo spesso, alle piccole siriane ma anche alle africane e a tutte quelle che vivono una condizione di vita vessata dall’egemonia del potere maschile, private di una qualsiasi forma di solidarietà femminile accettata socialmente. Piccoli gruppi o uniche forme di ribellione da parte di giovani donne che cercano un riscatto per la propria dignità e femminilità. Si deve poter cominciare da piccole a costruirsi un futuro, laddove manca il diritto allo studio e alla libertà personale; ma la fuga sembra essere solo l’unica via di salvezza. L’infanzia deve essere tutelata e la società, prettamente maschile e maschilista, non si cura di difenderla. Sono le bambine stesse a sentire questa esigenza, è l’infanzia che custodisce i germogli di un futuro diverso: il proprio. La realtà attuale però è diversa. E quello che possiamo fare noi è soltanto riflettere. Fanno pensare quelle bambine, messe in fila per essere mostrate al miglior offerente. Le nostre, al massimo, fanno la fila per salire sullo scivolo o per entrare in un cinema. Loro invece sono lì a guardare i loro aguzzini senza capire bene cosa le aspetta. Sembrano bambine come tutte le altre, ma non lo sono nel senso di come lo intendiamo noi. Hanno nove anni e dovrebbero giocare con le bambole, fantasticando su un futuro roseo e spensierato. E invece no, sono loro stesse le bambole senza vita e senza dignità. Le sono state strappate l’infanzia e il loro stesso futuro. Sono inermi, con lo sguardo fisso e attonito di chi pensa a non pensare, perché non è umano pensarla così e la realtà brucia come la violenza che stanno subendo. Sono diventate le bambole con cui giocano i maschi, e quegli adulti senza cuore, che le vestono e le spogliano a loro piacimento, che usano come doni da offrire e ricevere, che violano nelle pieghe più intime della loro psiche e anche nel cuore della loro acerba sessualità. Sembrano bambine ma sono oggetti, in quanto femmine, e la religione, prima ancora che la legge, non contempla alcun diritto alle donne. Oggetti, non donne: proprietà, merci di scambio, tristemente cose su cui operare un vero e proprio vilipendio. Cosa prova una bambina, nel fiore dei suoi anni, nell’ingenuità della sua purezza, che si affaccia al mondo per la prima volta conoscendo l’uomo e il mondo dei grandi senza alcun filtro o decodifica? Cosa pensa quando è la sua stessa famiglia a venderla in cambio di soldi e per timore di ritorsioni da parte dei miliziani? Sicuramente sfiducia e delusione verso gli adulti che dovrebbero fornirle dei punti di riferimento, quindi una serie di reazioni difensive a una grande fonte di sofferenza quale è quella della violenza, come disforie emotive, sistemi comunicativi di tipo aggressivo, disturbi post traumatici da stress (angosce pervasive, ideazioni psicotiche e di tipo suicidario), depersonalizzazione con un distacco da sé che implica scissione e che può tradursi successivamente o in un blocco del percorso di sviluppo o in una vera e propria forma psicotica, infine, rabbia e aggressività grave, forse represse in vista di punizioni più grandi (torture e morte). Il nostro punto di vista considera il rapporto coatto tra un adulto e una bambina un rapporto anomalo, legato a dinamiche di pedofilia e quindi perversione. Alla base di questa forma di sessualità perversa è un’insufficiente maturazione della psicosessualità, con una fissazione a stadi evolutivi infantili, o una regressione, cioè un ritorno a comportamenti infantili in apparenza superati. Una fissazione che però non è soltanto individuale, legata a vissuti personali, quanto piuttosto una di tipo collettivo, culturale. Ma poiché la cultura è una variabile importante per formulare una riflessione sul tema, perché condiziona le valutazioni da fare, occorre soffermarsi non tanto sulla valutazione delle conseguenze quanto sull’idea di infanzia e di fanciullezza alla base. Perché è facile dire infanzia, e tante sono le teorie che fondano il sapere psicologico su un simile tema. Secondo il principio di ricapitolazione di Gould e Haeckel, che considera l’infanzia un periodo della vita caratterizzato da un funzionamento simile a quello degli uomini primitivi e/o disabili, l’infanzia non è una fase in cui manca qualcosa che quindi può essere anticipatamente fornita come nel caso della relazione sessuale/coniugale, ma è una fase caratterizzata da bisogni e processi propri che hanno bisogno di tempi e modalità di elaborazione che non possono essere anticipati e bypassati. Ma questo a loro non interessa.
Francesca Orlando
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