21 minuti di mareggiata viola (e di topiche grottesche giallorosse) per spazzare via ciò che rimane del malridotto castello di sabbia romanista, gli altri 69 minuti di inutile e penosa agonia di un gruppo allo sbando che ha dovuto anche subire l’umiliazione della gogna pubblica dalla propria curva.
Si è conclusa così (e stavolta senza possibilità di retrocessioni in altre competizioni) la campagna europea della Roma per la stagione 2014/15. E un modo peggiore non era semplice da immaginare. Soprattutto, dopo l’incoraggiante 1-1 di Firenze che aveva mostrato anche la miglior Roma di questo 2015.
La follia di Skoupski
Una partita strana, surreale che si può dividere in tre tempi: nel primo, durato solo 8 minuti, la Fiorentina prende subito d’assalto l’area giallorossa, intasatissima come lo sa essere solo il traffico capitolino nell’ora di punta, alla ricerca del gol spariglia-carte. Poi, dopo il rigore (ripetuto) di Gonzalo Rodriguez, fischiato per l’improvvido tamponamento da automobilista imbranato di Holebas su Mati Fernandez, inizia un secondo tempo che vede la reazione furiosa di una Roma ferita ma ancora viva e una Fiorentina che rincula subito a difesa dello scarno vantaggio. Quasi le due squadre avessero deciso di scambiarsi le maglie. Quindi, la follia di Skorupski (e anche a Milano si stanno chiedendo se sia il caso di dare seguito al costume di utilizzare il “portiere di coppa”…), immediatamente seguita dalla zuccata del definitivo k.o. ad opera di Basanta (stacco aereo in perfetta solitudine, specchio fedele di un’intera retroguardia romanista in stato di shock. Lì ha inizio un terzo tempo dai toni surreali con un Olimpico inferocito pronto a fischiare ogni possesso palla dei suoi ex beniamini e Fiorentina di nuovo in totale controllo delle operazioni e delle occasioni da rete. Che non arriveranno solo perchè i legni strozzano in gola per ben due volte la gioia di un Salah, grande rimpianto di un mercato romanista che poteva essere di un certo tipo e che si è rivelato un altro, ispiratissimo e letale negli spazi.
Infine, a far da contraltare alla più che legittima festa dei giocatori viola osannati dai propri sostenitori, l’immagine della Curva Sud che prima si svuota, poi fa comparire striscioni dal contenuto più eloquente di un comizio elettorale (“mercenari”, “vogliamo undici Garcia”), poi ricompare per “chiamare a rapporto” le truppe romaniste, ridotte ad una sorta di armata brancaleone. E qui, un paio di considerazioni paiono doverose: legittimo che chi paghi il biglietto abbia il diritto di critica, di fischiare, magari anche di manifestare la propria delusione con toni un pò coloriti. Ma l’immagine di una curva con annesso capopolo a cavalcioni su una balaustra che “convoca” i propri giocatori che, per quanto possano aver deluso le aspettative e nonostante i conti in banca da capogiro, restano pur sempre degli esseri umani, in quanto tali meritevoli di un trattamento migliore rispetto a quello riservato alle bestie ammaestrate al circo. Un’immagine da antico colosseo con i pollici versi. Non una bella immagine. E non è pure solo una questione di stile, pur in una città che dovrebbe ambire ad ospitare lo spirito olimpico. E’ semplicemente l’ennesima legittimazione di certi personaggi che mai dovrebbero meritare la copertina. Tra certe manifestazioni di tracotanza e gli atteggiamenti da padre padrone di un Genny ‘a carogna il passo è breve. Lo scenario, sempre quello, l’Olimpico. E’ passato quasi un anno. Chiaramente, invano.
Quanto al resto del contingente italiano che aveva fatto gridare alla resurrezione del nostro calcio, visto l’approdo in massa agli ottavi di Europa League, rimane, oltre alla Fiorentina maramalda di Roma, il solo Napoli, facile amministratore a Mosca del 3-1 dell’andata. Le nostre due superstiti potranno giocarsela fino in fondo, ma non è affatto detto che basti. Torino e Inter, chiamate alla grande rimonta, non ce l’hanno fatta, pur seguendo sentieri ben diversi: i granata escono dalla competizione a testa altissima per aver offerto, nei 180 minuti (non solo ieri a Torino), un calcio decisamente migliore di quello del ben più ricco Zenit. Ma tant’è. A volte la sfiga ci vede benissimo. Al Toro lo sanno sin troppo bene. L’Inter, invece, offre una prestazione modesta anche sul piano tecnico e tattico. Il Wolfsburg si limita a svolgere diligentemente il compitino. Tanto basta per uscire da S.Siro con un prestigioso 2-1. E’ vero, i nerazzurri avevano già compromesso la qualificazione all’andata sciupando l’impossibile davanti e regalando a piene mani dietro e anche ieri hanno incassato altre due reti, ma prendersela con una difesa comunque imbarazzante e con errori individuali sarebbe riduttivo: i progressi nel gioco che Mancini aveva saputo produrre dopo un complicato ambientamento iniziale sono già spariti. Ognuno corre per conto suo e una logica nella manovra non c’è.
Per il successo finale, delle otto superstiti (a proposito, con l’uscita dell’Everton non avremo neppure una una squadra inglese ai quarti in nessuna delle coppe europee e questo non accadeva dal 1992/93, sintomo che in terra d’Albione avranno sì il campionato più bello e e competitivo ma quando la qualità viene così diffusa il rischio è la polverizzazione del talento, rispetto a movimenti che, invece, la concentrano in massimo due/tre formazioni), le più attrezzate ad arrivare in fondo sembrano Siviglia (sempre vincitore dopo aver superato un derby iberico e ieri ha liquidato il Villareal), Wolfsburg, Napoli e Fiorentina.
In Champions, ci rimane la meravigliosa Juve vista a Dortmund (ma con Pogba out per due mesi). L’unica nostra squadra di rango europeo.
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