Anis Amri, ritenuto il responsabile della strage di Berlino di lunedì scorso, è morto stanotte vicino Milano. Fermato per un controllo da una pattuglia della polizia, ha sparato verso gli agenti, ferendone uno in modo non grave. I poliziotti hanno risposto al fuoco e lo hanno ucciso sul colpo.
La sparatoria è avvenuta intorno alle tre della scorsa notte in piazza Primo Maggio, di fronte alla stazione di Sesto San Giovanni. Gli agenti hanno fermato Amri, che era a piedi, per un controllo di routine. Ma quando gli hanno chiesto i documenti – che non aveva con sé – ha preso dallo zaino una pistola calibro 22 e ha fatto fuoco verso di loro.
Il poliziotto ferito – l’agente scelto Cristian Movio, di 36 anni – è stato colpito ad una spalla. È ricoverato all’ospedale di Monza. Le sue condizioni non destano preoccupazione, ma dovrà essere operato per estrarre il proiettile. Il colpo che ha ucciso Amri dovrebbe essere partito dall’arma del suo collega Luca Scatà, 29 anni, agente in prova in servizio da nove mesi a Sesto.
“Senza ombra di dubbio si tratta di Anis Amri”, ha detto il ministro dell’Interno Marco Minniti in una conferenza stampa convocata al Viminale. Il ministro ha detto che in Italia c’è un “livello elevato di controllo del territorio” che permette di identificare un ricercato appena mette piede sul territorio nazionale, “e neutralizzarlo”. Minniti ha detto di aver contattato l’agente Movio in ospedale: “Gli ha trasmesso la mia gratitudine personale e gli ho fatto gli auguri di pronta guarigione. Nei prossimi giorni andrò personalmente ad abbracciarlo”.
Gli ho anche fatto gli auguri di Buon Natale, dicendogli che grazie a persone come lui gli italiani potranno fare un Natale ancora più felice.
“Siamo molto grati alle autorità italiane per la stretta collaborazione”, ha detto intanto il portavoce del ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier.
L’antiterrorismo di Milano, guidata da Alberto Nobili, ha spiegato che Amri è stato identificato sia dall’identikit, sia dalle impronte digitali, le stesse ritrovate nell’abitacolo del camion che ha lanciato contro un mercatino di Natale a Berlino. Anche la pistola che aveva con sé è la stessa dell’attentato: è l’arma con cui ha ucciso Lukasz Urban, il camionista al quale aveva sottratto il mezzo, e che fino all’ultimo ha provato ad evitare la strage.
Secondo le indagini della Digos, Amri sarebbe arrivato in Italia dalla Francia. Sul suo corpo è stato ritrovato un biglietto di un treno che da Chambéry, in Savoia, lo avrebbe portato a Torino e poi a Milano intorno all’una di notte. Nelle due ore successive è arrivato a Sesto San Giovanni, dove si è consumato l’epilogo della vicenda.
Secondo un’ipotesi presa in esame dal pool antiterrorismo, Amri voleva raggiungere l’Italia del sud. Come è stato ripetuto spesso negli ultimi giorni, era stato già nel nostro paese: prima nei centri di accoglienza di Lampedusa e poi di Belpasso, nel 2011, quindi in varie strutture carcerarie della Sicilia, dove aveva scontato quattro anni per danneggiamenti, incendio, lesioni e minacce. È probabile che si sia consumata proprio in prigione la sua conversione da violento e delinquente comune a jihadista, secondo un copione purtroppo già visto altre volte.
Nel frattempo spuntano nuovi aneddoti sulla sua permanenza in carcere: un uomo che lo ha conosciuto mentre era detenuto ad Agrigento ha raccontato che Amri lo tartassava “perché cristiano”, e una volta avrebbe minacciato di decapitarlo. I suoi “comportamenti da filo-terrorista” non erano passati inosservati in Sicilia: prima di scarcerarlo le autorità locali avevano spedito un dossier all’Amministrazione penitenziaria di Roma. Dossier che sarebbe arrivato per tempo al CASA, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, un ente pensato per facilitare lo scambio d’informazioni tra la polizia giudiziaria e l’intelligence. Anche la Questura di Catania lo aveva segnalato al CASA come “soggetto pericoloso”. Eppure, le sue tracce sono svanite nel nulla dopo la sua scarcerazione, il 18 maggio 2015, e la consegna alla Questura di Palermo per un infruttuoso tentativo di rimpatrio in Tunisia. E solo adesso la Procura di Palermo ha aperto un fascicolo per “ricostruire gli spostamenti dello straniero”.
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