Un terrazzo, un appartamento, un giardino, all’interno di un’abitazione privata. Luoghi tenuti segreti fino all’ultimo momento e comunicati, poi, solo agli avventori che si sono prenotati. Luoghi per pochi, eventi a numero limitato di partecipanti, resi noti sui social e bisbigliati da amico ad amico per passaparola, dove lo chef propone ai suoi ospiti raffinati piatti della tradizione gastronomica dello Stivale. Gli “adepti” che frequentano tali sedi sono intelligenti gourmet e amanti del buon cibo, gente che non si fa prendere in giro dai ristoranti alla moda, che si fida solo del proprio palato, tralasciando tutto il resto. Non si paga il conto, si contribuisce all’acquisto del food con una quota molto bassa, per garantirsi una serata di gusto emozionante. E indimenticabile.
I “supper club” sono approdati a casa nostra da un po’, e ora si sono trasformati in un successone. Le formule di adesioni variano, ma di solito per presenziare alle nuove “sette del sapore” tutte Made in Italy – al confine tra pratiche turistiche per conoscere un territorio intrecciati a sapori originali – basta inviare una mail di accredito, confermando la partecipazione il giorno e l’ora dell’evento, specificando il numero dei partecipanti. A riprova, partirà la mail di risposta con tutte le informazioni: dall’indirizzo della location stabilita, all’orario fino al menù. La prenotazione verrà validata tramite il pagamento del contributo da parte del partecipante. Diversi dagli “Home restaurants” – le case di proprietà trasformate in ristoranti d’eccezione – vagano al confine tra sorpresa e genuinità. Sempre con l’atmosfera del posto giusto da sottofondo, scelta fondamentale a regola d’arte.
Nell’era dei social network e della crisi economica imperante, la rivoluzione in fatto di enogastronomia che dal mondo ha ammaliato anche l’Italia. In Europa, a Parigi, Amsterdam, Berlino e Londra vengono chiamati “hidden eatery”. Già prima, a New York, sono nati come “guerrilla restaurants”. In Usa sono legati a doppio filo alle esperienze di viaggio. Ora da noi, in Sicilia, vanno fortissimo (dai 20 ai 40 euro il prezzo base), e la Capitale li ha da poco rilanciati. Alcuni mesi fa, il noto chef executive Antonello Riva, figlio dell’indimenticabile Mario Riva del “Musichiere”, ha lanciato il primo supper club capitolino, organizzando a Roma, per l’appunto, “Sere d’estate”. Una serata letteralmente da leccarsi i baffi, in un contesto tanto inconsueto quanto sorprendente. Ospiti stupiti e accontentati. L’attesa, con tanto di locandina suggestiva inviata rigorosamente via posta elettronica, ne è valsa la pena.
“E’ una novità interessante nella realtà gastronomica che sta andando parecchio bene, i riscontri non si sono fatti attendere”, commenta Riva. Anche Ostuni, in Puglia, ha da poco il suo first supper club: “Quarto piano”, gestito da Stefania Di Ceglie, giornalista ed esperta in comunicazione con la passione per la buona cucina e per il cinema. Le è venuta in mente l’idea ripresa dalle altre tradizioni e ci ha provato insieme alla madre Amalia, bravissima cuoca, in passato agente di viaggio. Uno dei più famosi supper club milanesi e a livello nazionale è, invece, il Ma’ Hidden Kitchen di Melissa e Lele, dove l’ospite troverà ben più di un pasto e molto altro, un’esperienza culturale a tutti gli effetti. È questo uno dei motivi per cui sta spopolando la nuova frontiera del cibo, quella che conta sulla voglia del turista e del “discepolo culinario” di assaggiare non solo un piatto, ma un intero spaccato della cultura reale di un Paese. La gastronomia cambia volto entrando nella proposta turistica di una Nazione, oltrepassando la classica epopea a tavola. Un “caso sociale” su cui dissertano filosofi del gusto ed esperti del settore e affini. Dalle terrazze in periferia, dove il must è ridere, conoscere gente, agli angoli più accattivanti del centro delle nostre città. Per far conoscere un’Italia diversa.
Valentina Conti
Valentina Conti, romana, classe ’78, giornalista professionista. Scrive sul quotidiano Il Tempo. Una laurea con lode in Scienze della Comunicazione vecchio ordinamento (per intenderci, quando ancora non era nota ed era davvero una laurea…), con una tesi sperimentale mediatica in storia contemporanea sui giovani in politica fra il 1977 e l’89 (che oggi non sono più giovani e in politica ci sono lo stesso). Varie collaborazioni con diversi quotidiani e free press come Libero, Leggo, La Notizia, Epolis, settimanali di politica e cultura, mensili, testate online, fra cui la rivista “Nuove civiltà delle macchine” della Rai. Si occupa, prevalentemente, di cronaca e politica. Vincitrice della prima edizione del Premio giornalistico “Angelo Maria Palmieri” con un articolo pubblicato sul quotidiano Libero sui ‘sequestri di Stato’. Autrice di numerosi studi sulla politica nazionale letti in chiave storica. Addetta stampa di professione, ha lavorato oltre otto anni come ufficio stampa in Regione Lazio; si occupa della gestione di uffici stampa privati nei settori sanità, sociale, politica e altre tematiche.
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