Possiamo considerarlo un caso di sciovinismo sanitario il silenzio dei media britannici quello di Tafida Raqeeb, la bimba portata il 15 ottobre scorso da Londra all’ospedale Gaslini di Genova dopo che la sanità d’Oltremanica aveva decretato la totale impossibilità di un suo miglioramento. Il trasferimento era stato possibile quando Alistair MacDonald, giudice dell’Alta Corte d’Inghilterra, aveva dato ragione ai genitori della piccola che erano ricorsi alla giustizia inglese contro la decisione del Royal London Hospital di interrompere le cure. Una battaglia con due vittorie: la prima di qualche mese fa con la presa in carico da parte di uno dei migliori ospedali pediatrici a livello mondiale della piccola in coma dopo un intervento al cervello, la seconda il passaggio di Tafida da una terapia ad alta intensità a una terapia a media intensità, come ha annunciato ieri il direttore sanitario del Gaslini insieme all’èquipe medica che segue in caso.
Nel luglio scorso il Royal London Hospital, prestigiosa struttura sanitaria della capitale britannica, intendeva interrompere alla piccola il supporto alle funzioni vitali. In termini brutali era pronto a «staccare la spina»: non essendoci speranze di recupero, per i sanitari londinesi che l’avevano in cura sarebbe stato «inumano continuare il trattamento». A Genova invece, nell’ospedale intitolato a Giannina Gaslini, oggi Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico di tipo pediatrico, la bimba di origini arabe è stata sottoposta ad un intervento chirurgico (perfettamente riuscito) per risolvere il grave problema della pressione endocranica e a terapie che le hanno consentito di iniziare lo «svezzamento» dalla ventilazione assistita, ovvero a respirare per brevi periodi autonomamente, senza il respiratore. Ora Tafida è nel “Guscio”, il reparto per i bambini malati cronici, una struttura dove l’obiettivo è stabilizzare le condizioni di miglioramento e iniziare un training per la gestione a casa dei supporti medici.
«Siamo riusciti a mantenere il programma deciso ad agosto condiviso con la Corte inglese: l’abbiamo stabilizzata dal punto di vista neurologico e la cosa ha migliorato dal punto di vista della respirazione. La bambina può passare a un livello di cura di intensità minore, con l’obiettivo di insegnare alla famiglia a gestire la bambina. Sono stati eliminati supporto che la infastidivano», ha spiegato Andrea Moscatelli, direttore del reparto di Rianimazione, lo stesso medico che era andato a prendere la bambina a Londra a bordo dell’aereo ambulanza.
Oggi sono e siamo tutti contenti. Che dico, contentissimi, dei risultati ottenuti grazie all’alta professionalità, certamente, ma grazie anche alla caparbietà di chi non si è mai arreso, genitori per primi, medici per secondi. Solo quelli italiani, però.
A questo punto si pone una riflessione, dolorosa, su precedenti casi come quelli di Alfie Evans e Charlie Gard, due bambini definiti incurabili che stampa e tv ci hanno fatto conoscere proprio perché anche l’Alta Corte londinese ha negato loro di accedere a cure sperimentali extraterritoriali o semplicemente ottenere una seconda opinione medica, oppure solo la possibilità di scegliere una struttura sanitaria di propria fiducia, anche se questo significa trasferirsi in un Paese diverso dal proprio. Due bimbi condannati a morte prima anzitempo dall’ostinazione di chi non vuole ammettere che la medicina non è una scienza esatta. E, soprattutto, che curare non vuole dire solo guarire perché il processo della cura e del prendersi cura supera gli obiettivi pur fondamentali della guarigione.
A.B.
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