Si è svolta a Roma nei giorni tra il 5 e l’8 dicembre la XII fiera nazionale della piccola e media editoria che ha registrato quest’anno oltre 54mila presenze. A Roma il Palazzo dei Congressi ha ospitato nei quattro giorni della Fiera personaggi del mondo della cultura, dello sport, dello spettacolo, della scienza e della società civile.
Uno dei più attesi è stato Tahar Ben Jelloun che è stato intervistato dal direttore dell’Espresso, Bruno Manfellotto, in apertura della manifestazione.
Lo scrittore marocchino, autore di romanzi come Creature di sabbia e Notte fatale nonché valido poeta, come ha sottolineato Manfellotto ricordando quanto sia basilare per la cultura araba l’arte poetica, si è fatto, nel corso dell’intervista, acuto osservatore e interprete della Primavera araba, con un occhio di riguardo anche per temi d’attualità come la questione del nucleare in Iran e l’immigrazione in Europa.
Per Tahar Ben Jelloun la Primavera araba è un processo non ancora del tutto terminato e tuttavia decisivo per i Paesi arabi: un evento che è stato in grado di spazzare via la paura, una pagina nuova, impossibile da cancellare e da cui sarà altamente improbabile un ritorno alla situazione precedente. Questo, nonostante la condizione in Egitto, sia attualmente molto confusa. Durante la Primavera araba, movimento essenzialmente laico, gli islamisti sono stati solo in grado di rapinare queste rivoluzioni, di impossessarsene, dimostrando però la loro assoluta incapacità di governare. Si è trattato quindi, secondo Tahar Ben Jelloun, di una grande sconfitta dell’islamismo, che non ha mai compreso cosa fosse il potere.
Quello che ha unito le diverse popolazioni di questi paesi è stata un’unica parola: dignità. La gente ha protestato non per un miglioramento salariale ma per ottenere diritti, giustizia e libertà. Si combatteva per rivendicare il diritto di essere rispettati come cittadini.
L’autore non risparmia poi le critiche nei confronti dell’Europa, colpevole di non essere intervenuta immediatamente in Siria, quando Assad sparò sulla folla e sui civili. Nessun Paese africano o arabo, afferma perentorio, può dunque contare su un aiuto europeo. Riguardo alla questione nucleare in Iran, lo scrittore ha parlato di equilibri: se Israele e Pakistan sono in possesso del nucleare, è legittimo che l’Iran si chieda perché alla sua nazione questo venga negato. L’Iran, dice Tahar Ben Jelloun è e rimane un regime non popolare tuttavia per quel che concerne la trattativa sul nucleare sta dando garanzie di moderazione.
Tahar Ben Jelloun ha parlato anche del ruolo della letteratura in relazione a questi movimenti politici. La letteratura può diventare testimonianza di quello che è accaduto, ma per farlo ha bisogno di tempo e distanza poiché agisce attraverso simboli e metafore. Chi scrive può ispirarsi all’attualità ma ogni opera letteraria, se autentica, è destinata a trascenderla. Posizione diversa assume la poesia che può essere invece scritta contemporaneamente ai fatti.
Nella lunga intervista si è toccato anche l’argomento dell’immigrazione di questi primi anni Duemila. Qui Tahar Ben Jelloun ha messo in evidenza il paradosso: da un lato l’Europa ha bisogno di manodopera, di immigrati, dall’altro ci sono persone che arrivano sulle barche a Lampedusa e muoiono. Il problema secondo lo scrittore non è l’immigrazione quanto piuttosto quella rete di mafiosi che getta la gente in mare. All’Europa manca ancora una politica definitiva per l’immigrazione. Non sono gli immigrati a creare disoccupazione – ci sono lavori che gli europei non vogliono più fare – malgrado ciò continuano a dilagare in Europa movimenti xenofobi e razzisti.
Il ruolo dell’Italia, invece? Alla nostra terra Tahar Ben Jelloun guarda con affetto: è un Paese ricco di contraddizioni e, perciò, tra i più affascinanti al mondo.
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