Tornare a “guidare il mondo” al fianco dell’America di Donald Trump. Sarebbe questa, secondo la stampa britannica, la proposta della premier Theresa May al nuovo presidente degli USA. Oggi la premier conservatrice incontrerà Trump, accompagnato da una delegazione del partito repubblicano, a Philadelphia.
Martedì, invece, il presidente USA vedrà il suo omologo messicano Enrique Peña Nieto. Il botta e risposta degli ultimi giorni sulla questione del muro lungo il confine tra i due stati aveva fatto temere che l’incontro potesse saltare, ma oggi il ministro degli Esteri messicano, Luis Videgaray, ha chiarito che “la riunione di lavoro fra i due presidenti a Washington è confermata”.
Ieri Trump ha dichiarato che i lavori per rafforzare la barriera – ancora non è chiaro come e per quanti chilometri – inizieranno “appena possibile”, nel giro di “mesi”, e che alla fine “in qualche modo” si riuscirà a far pagare il conto al Messico come promesso in campagna elettorale, anche se per ora il tesoro federale ha stanziato un fondo per far partire i lavori.
Peña Nieto, in un messaggio pubblicato su internet, ha risposto che il Messico “non crede nei muri” e “non pagherà”, e ha chiesto a Trump di rispettare il suo paese “come la nazione sovrana che è”.
I decreti di Trump sul muro e sui migranti, attesi per ieri, alla fine non sono arrivati; ma secondo l’Associated Press – che ha ottenuto una copia di una bozza del secondo – dovrebbero essere firmati entro la settimana. L’amministrazione Trump, sostiene l’agenzia di stampa USA, starebbe pensando di bloccare per 120 giorni l’intero programma nazionale di accoglienza dei rifugiati, e di sospendere almeno per un mese i visti a chiunque arrivi da sette stati africani e asiatici considerati esposti al terrorismo: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan e Yemen.
Il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha annunciato che lungo il confine messicano saranno allestiti più spazi di detenzione, si interromperà la prassi del catch and release – “cattura e libera” – voluta dall’amministrazione Obama, e si bloccheranno i finanziamenti alle città santuario, quelle che non perseguono gli immigrati irregolari che non violano la legge in altro modo.
Sul tavolo dello Studio ovale ci sono anche decreti che ridurranno gli impegni – economici in primis – degli USA nei confronti delle organizzazioni internazionali. Secondo il New York Times, che cita fonti vicine all’amministrazione, uno dei decreti in esame prevede di smettere di finanziare le agenzie dell’ONU che rispondono ad alcuni criteri. Tra questi il riconoscimento a pieno titolo dell’Autorità palestinese o dell’OLP, il sostegno a programmi che finanziano l’aborto, ma anche semplicemente l’influenza di “qualunque stato che sponsorizza il terrorismo”, o viene accusato di violare i diritti umani e delle minoranze.
Intanto il Senato di Washington ha confermato la nomina di Nikki Haley come nuovo ambasciatore americano al Palazzo di vetro. La candidatura della Haley – governatrice uscente del South Carolina, con nessuna esperienza di rilievo in politica internazionale – ha ricevuto 96 voti a favore su 100. Hanno votato “no” tre senatori democratici più Bernie Sanders, che pur avendo partecipato alle primarie dem non è iscritto al partito e quindi è considerato un indipendente.
Trump ha fatto parlare di sé anche per aver sostenuto le ragioni del waterboarding, la pratica che simula l’annegamento durante gli interrogatori, abolita da Obama nel 2009 perché considerata una tortura. Ma la valutazione finale, spiega il presidente, spetterà al direttore della CIA Mike Pompeo e al segretario alla Difesa James Mattis: “Voglio – precisa Trump – che tutto sia nei limiti di quello che possiamo fare, se è legale”.
F.M.R.
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